venerdì 19 ottobre 2012

PAOLO DI ORAZIO – CHIRUPHÈNIA (HORROR PROJECT, 2012)


Crani aperti con un sorriso sulla fronte. Queste donne sono state interamente saccheggiate. Che altro manca? Seni, braccia, piedi, mani, genitali, pelle, viscere, brani di muscoli. Un disordine totale, nel saccheggio. Non tutte le donne sono prive delle stesse parti. Un saccheggio sbrigativo. Il pavimento, i comodini sono disseminati di materiale umano irriconoscibile. Poveri martiri, divenuti nel giro di una notte ciarpame senza inutilità. 

Ancora…

L’odore che esce da un corpo aperto è l’aria respirata e bruciata nel corso di una vita. La ragione della sua intensità, quasi rivoltante, è dovuta alla storia che ha condiviso con tutto il corpo; anni di lavoro, anni di esperienze, di dolore, amore e passione, anni di combustione sotterranea, anni in cui i fluidi sanguigni e linfatici hanno percorso il corpo, impregnandosi di un’esistenza chimicamente ritmata da attivazioni e inibizioni dei sistemi vitali. 

No, non è la penna affilata come un rasoio di Clive Barker che squarta e maciulla attraverso le pagine di pelle morta dei “Books of Blood”. E non sono nemmeno i Carcass di “Reek Of Putrefaction” e “Symphonies Of Sickness” che travolgono l’incauto ascoltatore con un magma putrescente di visioni sanguinarie pescate dalla mente perversa e allucinata di un patologo, infestata da cadaveri scomposti e autopsie notturne.
Stiamo parlando di Paolo Di Orazio, il padre della narrativa splatterpunk in Italia.
Uno scrittore che non ha paura di affondare le mani nel sangue per tirarne fuori una letteratura di genere allucinata, crudele, dissacrante, orgiastica. Prendete i “Racconti Crudeli” di Auguste de Villiers, mischiateli con l’efferatezza disincantata di Barker e il cinismo metropolitano di Skipper & Spector con un tocco personale e diametralmente “italiano” e potrete capire come Di Orazio sia un unicum del panorama nazionale.
A differenza del precedente “Vloody Mary”, votato a stilemi gotici (il Licantropo) in salsa splatter, “Chiruphènia” è un mirabile tuffo negli anni ’90 quando Splatter & Mostri scandalizzavano genitori e moralisti assortiti e Dylan Dog cercava di acciuffare squartatori e assassini seriali in una Londra che faceva davvero paura. Questo romanzo è un autentico tuffo nel passato, attraverso sensazioni e ricordi ormai soffocati dal modernismo esasperato dei giorni nostri. Del resto come ci avverte la quarta di copertina “Chiruphènia” è stato scritto nel 1996 e , alleluia!, ne tira fuori ogni briciolo di suggestione e malinconica perversione. No, signori, di Horror così in libreria o in edicola non ne escono più da decenni. E il cinema si è ridotto a una parodia degli stilemi passati. E allora cosa rimane? La riscoperta.
Di Orazio ci prende per mano (o meglio ancora ci afferra allo stomaco) e ci scuote per bene! Niente torpori fantasy o zuccherose rappresentazioni di “orrori” innocui e grotteschi. Don Blazaar, evocato nelle pagine del romanzo, è un’entità paranormale e disincarnata, prelevata dalla mummia ammuffita di Hannibal Lecter. Non c’è fine allo shock, al sangue, alla decadenza, all’orrore. I personaggi delineati nel libro sono tanti: la mano che uccide una sola, una trebbiatrice che non ammette salvezza o redenzione. Perché come diceva Clive Barker quando voleva annientare Stephen King negli ’80: “Siamo tutti libri di sangue; in qualunque punto ci aprano, siamo rossi”. È un ritorno alla carne, al corpo, alla fisicità del delirio e del dolore. Sentimenti che abbiamo annegato in un mare di grigio conformismo virtuale, dove gli avatar sono immagini sbiadite e pallide di quello che siamo davvero. E la narrativa è figlia degenere di questa “non identità”. Con Di Orazio ritorniamo agli albori dell’esperienza umana, dove il sangue purificava i peccati, faceva crescere le messi, e placare divinità colleriche e assetate. “Chiruphènia” è un continuo tributo di sangue (e cloroformio. Nel libro sembra quasi di sentirlo sul serio…Orrore!) all'entità Don Blazaar. Romeo, Agata e gli altri sanno che per placare uno spirito le preghiere non bastano e le promesse sono inutili, insulse. Negli atti si compie il destino dell’uomo e la spiritualità deviata che si intravede in più punti nel libro, seppur controversa e agghiacciante, ha qualcosa di pagano e quindi di ancestrale.
Dulcis in fundo, come ad avvertirci che non ci sarà pace né per le menti né per i corpi, l’autore romano sfida l’eresia assoluta riscrivendo a suo modo il testo di “The Sound of Silence” di Simon & Garfankel. Ma mentre gli americani Nevermore nella loro metallica riproduzione, si divertivano a stuzzicare i desideri più nascosti degli aspiranti suicidi, Di Orazio va oltre ed evoca una grande ombra nera (Don Blazaar?) che un giorno farà piombare il modo nuovamente nelle barbarie e nella violenza assoluta, ridonando agli uomini quella purezza ormai perduta nelle piaghe desolanti di Facebook.
Come scrisse Dante secoli fa: “Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria”.

2 commenti:

Nick Parisi. ha detto...

Come ti ho scritto in altre occasioni
il Di Orazio è una certezza emi dispiace che non ha avuto il successo che avrebbe meritato.

EDU ha detto...

Anche questa volta sono assolutamente d'accordo con te ;)