venerdì 3 aprile 2009

RACCONTO: IO SONO LA NEMESI

IO SONO LA NEMESI
(Racconto in gara al Premio Catturandi organizzato da Dario Flaccovio Editore).

Terza notte di appostamento.
Le gambe sono diventate insensibili dal freddo ma va bene così.
Il passamontagna mi da l’impressione di un’altra pelle sul viso.
Non stacco l’occhio dal mirino.
Tra il silenziatore applicato al fucile e il casolare ci sono 500 metri scarsi.
Il Boss è lì dentro.
Il verme.
Ripenso tutto il giorno alla sua carriera criminale e sento la testa scoppiarmi.
Lo vedo uccidere, torturare, minacciare.
Un nuovo orrore, messo in pratica alla stessa velocità con cui viene pensato.
Non riesco più a dormire.
Nei miei sogni, un mondo fatto di assassini, di violenza, di innocenti mandati al macello.
Per questo sono stato fuori dal giro per un po’.
Ho avuto dei problemi.
Lo psichiatra dice che ho un sacco di rabbia repressa.
Che se continuo così dovrò abbandonare la carriera.
La “mia” carriera inizia stanotte.
Io sono la nemesi.
Il male è dietro quelle finestre buie.
Fra poco ci sarà l’irruzione.
Avrò tutto il tempo di sparargli un colpo in testa.
I Capi.
Che stupidi.
Pensano che mettendomi nelle retrovie hanno risolto il problema.
Solo perché ho pestato a sangue un “mafiosetto” poco più grande di mio nipote.
Non capiscono.
Quei balordi hanno bisogno di una lezione.
La legge ha fallito.
I processi sono una farsa.
Si dichiarano pentiti e vivono protetti e ben nutriti dallo Stato.
Idioti.
Mi mordo il labbro dalla furia.
Tutto questo deve finire.
Serve una “scrollata” e sono qui per dargliela.
Il “dopo” è un problema che non mi riguarda.
Il messaggio sarà chiaro per tutti.
Sento il segnale della Radio Trasmittente.
Sono pronti ad entrare.
Sposto il peso sul braccio destro.
La visuale è ottima.
La notte è limpida.
Scorgo quel cacasotto di Marculli avvicinarsi lentamente nella boscaglia.
La sezione Catturandi avrebbe bisogno di gente più motivata.
Non di padri di famiglia con i sensi di colpa.
Mi ha confidato che sua moglie vuole lasciarlo.
Non regge il peso del suo lavoro.
La solitudine è il nostro destino.
L’unica cosa che ci rimane è la Mafia.
Sono pronto.
Il dito è sul grilletto.
La squadra intera è a pochi metri dal portone d’ingresso.
Quando lo porteranno fuori avrò la mia chance.
Non sanno che stanno braccando un cadavere.
Che succede?
Sussulto con violenza e per poco non parte un colpo.
Un uomo apre la porta con calma.
Un bagliore rossastro proviene dall’interno.
Guardo nel teleobiettivo e capisco tutto.
Si è arreso il verme.
Si è fatto prendere senza opporre resistenza.
E’ il momento.
Inquadro il petto mentre lo ammanettano.
Ora la testa.
Ansimo per l’impazienza.
Il pensiero che quel cane viva un altro minuto è sufficiente a farmi impazzire.
Sento il grilletto freddo come il ghiaccio anche se porto i guanti.
Addio stronzo.
Sussulto di nuovo.
Qualcuno mi tocca la spalla.
Lascio il fucile nell’erba e mi volto.
L’Ispettore Capo mi sovrasta con il suo metro e novanta centimetri.
Mi dice che l’operazione è stata un successo e che non abbiamo rischiato nulla.
Si complimenta anche per il mio lavoro.
Rimango da solo con il mio tormento.
Stavo facendo la cosa giusta?
Mi porto la testa tra le mani.

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