lunedì 6 marzo 2017

PÁRODOS - DALLA CATARSI ALLO SPAZIO PROFONDO! [RECENSIONE + INTERVISTA]


Ci sono band che ci mettono anni per trovare la loro strada e magari proporre qualcosa di genuinamente personale e anche coinvolgente e poi ci sono band che come un fuoco che abbaglia la notte, all’improvviso, si presentano al mondo per offrire una visione artistica assolutamente unica. È il caso dei salernitani Pàrodos che in soli sei brani, in questo debutto infuocato intitolato “Catharsis” (ho ricevuto il Promo in anteprima assoluta!), sono capaci di presentare un caleidoscopio di sensazioni e di sfumature musicali che mi hanno conquistato al primo ascolto, sfoderando una maturità e una passione che di rado, in tanti anni di ascolti e recensioni, ho riscontrato in un gruppo al debutto assoluto.
Dopo un intro di pianoforte, invero malinconico e struggente accompagnato da una parte recitata di sicuro effetto, dal contenuto filosifico/estenziale (e dal tono tragico come potrete leggere anche nell’intervista) si parte con la pregevole “Space Omega” che alterna cantato pulito e growl, una costante di tutto il disco. Sembra davvero di percorrere spazi siderali maestosi attraverso le chitarre epiche dei Pàrodos e tappeti di tastiera e pianoforte dal sapore avantgarde che rendono il tutto ancora più travolgente. E per un attimo ho sognato un incrocio commovente tra Alcest e Ved Buens Ende, vera mia passione degli anni ’90.
Con il brano omonimo c’è una epicità ancora più accentuata dove il Black Metal la fa da padrone! Credetemi se “Catharsis” fosse stato composto in Norvegia oggi si parlerebbe di miracolo compositivo ma i nostri percorrono la loro strada senza condizionamenti e con una comunione d’intenti ammirevole.
“Heart Of Darkness” è ancora malinconia con un crepuscolare violino che lascia poi il passo a un’altra cavalcata black metal che non fa prigionieri anche se il vocalist “M” (molto versatile e ispirato) con i suoi vocalizzi puliti ed evocativi ci trasporta verso vette innevate e cieli di assoluto splendore. “Stasima” è un altro intro di pianoforte (composto per l'occasione da Francesco Ferrini dei Flashgod Apocalypse) che si accompagna ben presto, attraverso il brano "Black Cross", a un riff black metal molto anni ’90 e sembra di stare di nuovo in Norvegia quando gli Arcturus sbalordivano il mondo con trovate “eretiche” ma alla fine totalmente vincenti. Da annotare anche la presenza di Massimiliano Pagliuso dei Novembre con un ottimo assolo di chitarra
Chiusura del disco affidata a “Evocazione” che parte dai Tool, ci prende per mano e ci accompagna nelle ultime evoluzioni Post Black Metal di inizio millennio (con dei cori femminili trascinanti) e "Metamorphosis" (un viaggio vero e proprio influenzato dallo Space Rock senza mai abbandonare i binari del Metal estremo), lasciandoci ancora affamati di musica e desiderosi di un bis che per ora non ci è dato avere.
Sarò forse esagerato ma non mi sentivo così coinvolto da un esordio Avantgarde Black Metal da quando ricevetti in anteprima da un amico di penna il promo su cassetta di “Constellation” degli Arcturus. Onore ai Pàrodos, al loro coraggio e soprattutto alla grande passione e competenza che hanno trasfuso in questo esordio magistralmente imperdibile!
Dulcis in fundo ecco una interessantissima chiacchierata in esclusiva con Giovanni “Hybris” Costabile, il signore delle tastiere e degli effetti dallo spazio profondo.
Buona lettura!


Mi ha incuriosito molto il nome della vostra band che è preso dalla struttura dell’Antica Tragedia Greca. Vorrei che mi spiegassi questa interessante connessione tra Teatro e Avantgarde Metal e se in futuro la proporrete anche nei vostri live… 

La scelta del nome è frutto di un’elaborazione abbastanza lunga e complessa. Ho sempre pensato che la parte concettuale di un progetto musicale sia fondamentale, come la musica stessa, e cercavo qualcosa che potesse raccogliere e sintetizzare, preferibilmente in un solo termine, quello che volevamo esprimere. Grazie ai miei studi classici ho sempre apprezzato l’immaginario complesso e tremendamente realistico – nonché sempre attualizzabile - della tragedia greca. Da qui il nome “Párodos”, che indicava il primo canto del coro immediatamente dopo l’ingresso dai corridoi laterali dell’anfiteatro, col quale i coreuti si rivolgevano al pubblico, introducendo la narrazione. Perfetto parallelismo con la nostra musica, che vuole introdurre e accompagnare l’ascoltatore in questo viaggio attraverso la tragedia dell’uomo, in un percorso catartico tra i meandri della sofferenza, alla ricerca di una nuova speranza, da trovare, appunto, nella purificazione. Per questo motivo, nelle nostre esibizioni dal vivo, entriamo in scena con delle maschere teatrali, con lo sguardo rivolto verso il pubblico, per rappresentare questa connessione simbolica tra la nostra musica e il teatro tragico e svolgere la nostra funzione di coreuti.

Siete una band di recente formazione anche se la maggior parte di voi viene da esperienze musicali diverse negli anni. Per i lettori del blog vorrei che delineassi una biografia dei musicisti coinvolti e come è nato il progetto Pàrodos… 

Personalmente ho studiato pianoforte per quattro anni e mezzo, per poi continuare da autodidatta, avvicinandomi progressivamente al metal e alle sue sonorità. Con Gianpiero “Orion” Sica (basso) e Daniele “Hephaistos” Ippolito abbiamo condiviso il progetto “Your Tomorrow Alone”, dal 2009 al 2014, del quale ha poi fatto parte, solo nell’ultimo periodo, anche Marco “M.” Alfieri (voce), che dal 2001 al 2011 era stato membro degli Exxon Valdez, progressive metal band salernitana. Terminata questa esperienza, la necessità di continuare a esprimerci attraverso la nostra musica, con un sound e una concezione diversi, ci ha portato a creare l’attuale progetto, con Francesco “Oudeis” Del Vecchio alla chitarra e il recente ingresso di Alessandro “Okeanos” Martellone alla batteria, entrambi provenienti dall’esperienza coi “Throes of Perdition”.


Ho avuto moto di vedervi in uno dei vostri primi concerti in terra salernitana e ho riscontrato un impegno e soprattutto una convinzione che è raro vedere in band di nuova generazione. Da dove nasce questa ispirata coesione artistica e soprattutto questa grande voglia di fare? 

Conoscersi da molti anni, aver registrato due album e due demo in studio, seppur con progetti differenti, aiuta tantissimo. Tuttavia, senza scadere in banali ovvietà, è innegabile che ci sia grande feeling ma, soprattutto, unità di intenti. Le precedenti esperienze musicali ci hanno formato, hanno contribuito alla costante ricerca del miglioramento, a cercare di andare sempre oltre i limiti, sia i nostri che quelli dell’ambiente musicale in cui ci muoviamo. Non è, ovviamente, un lavoro facile, e richiede massimo impegno, umiltà e dedizione. Considerando poi che questo progetto è dedicato alla memoria di una persona a noi cara che, purtroppo, non è più con noi, non abbiamo intenzione di fermarci in questo nostro cammino, finché ne avremo le forze e le possibilità.

I Pàrodos sono un’autentica sorpresa nel panorama, a volte statico e citazionista (anche troppo), nazionale. Se avessi ricevuto il vostro promo dalla Norvegia o dalla Francia non mi sarei meravigliato assolutamente. La vostra vocazione come musicisti è travalicare gli angusti confini italiani per crearvi una identità internazionale? 

Innanzitutto, grazie per la considerazione iniziale, che ci riempie di orgoglio e soddisfazione. Come accennavo anche in precedenza, il nostro modo di porci nel proporre la nostra musica è dettato anche da esperienze precedenti. Per quanto possa sembrare scontato, la realtà campana, in particolare, ma quella italiana, in generale, stanno sicuramente strette a chi vuole impegnarsi per provare a portare la propria musica ad un livello successivo. Al momento, senza voler sembrare presuntuosi o pretestuosi, non ci poniamo limiti, per il semplice motivo che siamo tutti coesi e compatti. Crediamo nella validità della nostra proposta e speriamo che anche al di là dei confini italici qualcuno (o più di qualcuno, perché no!), possa accorgersene. Di sicuro, fare delle date all’estero è, per noi, un obiettivo minimo.

“Catharsis” è dedicato a una persona che ha lasciato questo mondo dopo una lunga sofferenza. Questa esperienza che vi ha segnato è il “topos” principale dell’album o ci sono anche altre visioni o interpretazioni nei testi? 

Questa triste vicenda ha accompagnato tutto il periodo di composizione dei brani del nostro album d’esordio, con tutte le conseguenze del caso e l’altalena di sentimenti contrastanti che sono stati, inevitabilmente, trasfusi nella nostra musica. Al di là del testo dell’intro, l’unico scritto di mio pugno e ispirato dal ricordo del giorno dell’ultimo saluto a Luigi, gli altri testi sono tutti opera di Marco, che ha interpretato personalmente questo cammino attraverso la sofferenza, presente nella vita di ogni individuo, in modi e forme differenti. L’ordine della tracklist, d’altronde, non è casuale: proprio per comprendere appieno il percorso, si consiglia l’ascolto del disco dall’inizio alla fine, senza salti o interruzioni, per cogliere il significato complessivo di musica e testi. Alcuni brani sono più intimi, come “Heart of Darkness”, ispirato al romanzo di Joseph Conrad, “Evocazione” è a tutti gli effetti un rituale pagano, un ritorno alle origini per favorire, appunto, la purificazione dell’animo, “Space Omega” si sofferma sulla consapevolezza della morte e della fine della materia. Insomma, mi piace dire che i testi sono tutte facce dello stesso diamante: raccontano la stessa storia, ma da punti focali differenti e con tante influenze e contaminazioni.


L’Avantgarde Black Metal è un genere da sempre foriero di coraggiosi sperimentalismi e band che hanno saputo costruirsi una propria identità e un proprio seguito. Quali sono stati i gruppi o gli artisti che vi hanno influenzato maggiormente anche al di fuori del Metal?

Premesso che le caratterizzazioni, nel metal odierno, sono diventate sempre abbastanza complicate, in quanto le contaminazioni sono ormai molteplici e presenti in tantissime band, ci definiamo avantgarde principalmente per la commistione di elementi tipici del black metal con sonorità che non lo sono affatto o che se ne discostano completamente. Questo per non addentrarci in discorsi eccessivamente filosofici sulla catalogazione di genere. Anche l’alternanza del cantato, tra l’altro, va in questa direzione, per sfruttare il contrasto tra ritornelli puliti, parti eteree e recitate, e growl/scream. Le radici della nostra musica affondano principalmente nella scena definita “post-black” più recente, ma non solo. Idealmente, potremmo tracciare una linea che unisce Fen, Les Discrets, Alcest, Lantlos, Solstafir, Arcturus, Enslaved, ma anche Katatonia, Opeth, Agalloch, Novembre. Attingiamo a piene mani dalle nostre influenze e ispirazioni, anche non legate alla musica ma all’arte e alla letteratura, cercando di miscelare il tutto in maniera originale, senza “collage” forzati.

In “Catharsis” ci sono tantissimi “Guest” e mi piacerebbe conoscere qualcosa di più sulla loro partecipazione e anche qualche gustoso retroscena… 

In verità, l’idea delle guest è nata da un suggerimento del nostro produttore, Marco Mastrobuono, che fin dai primi giorni di registrazioni si è sentito molto coinvolto dalla nostra musica. Dopo aver registrato personalmente alcune parti di basso fretless, ci ha proposto di far comporre ed eseguire l’unico assolo del disco, quello finale di “Black cross”, a Massimiliano Pagliuso dei Novembre che, per nostra grande gioia, ha accettato volentieri. Il risultato è stato eccellente, ed è stata una soddisfazione e un onore poterlo ringraziare personalmente, quando è venuto a trovarci in studio durante le registrazioni delle voci. In seguito anche Francesco Ferrini, compositore e pianista dei Fleshgod Apocalypse, ha contribuito con la composizione dell’intermezzo strumentale dell’album, “Stasima”. Si è aggiunta, poi, Elisabetta Marchetti, voce dei “Riti Occulti”, nel recitato in greco antico di “Evocazione”, estratto dall’Inno Omerico alla Dea Madre, reinterpretato e adattato con la preziosa collaborazione di Anna Rita Russo. Sono poi da citare l’attore Francesco Marzi, per la parte recitata dell’intro, la violinista Valentina Rocchi per l’assolo in “Heart of Darkness”, Alfonso Mocerino che ha registrato le parti di batteria e Riccardo Studer che ha curato gli arrangiamenti orchestrali addizionali.

Com’è stata l’esperienza ai Kick Recording Studio? Marco Mastrobuono ha saputo cogliere lo spirito complesso ed eterogeneo dei Pàrodos? 

Mi collego alla domanda (e alla risposta) precedente, da cui si denota facilmente l’applicazione e la professionalità che ci siamo trovati di fronte. Ovviamente, alcuni di noi avevano già precedenti esperienze di registrazione, ma al Kick Recording ci siamo calati in una realtà di alto livello, sotto ogni punto di vista. Questo ci ha spronato sicuramente a dare il meglio, e il nostro lavoro ne ha tratto giovamento, soprattutto grazie alle dritte e ai consigli di Marco che ci hanno aiutato molto. È stato un vero e proprio lavoro di produzione a trecentosessanta gradi, e siamo davvero soddisfatti di quello che è stato il risultato finale. A livello di sound e di resa, abbiamo ottenuto esattamente quello che volevamo e ci aspettavamo.


Qual è il brano più rappresentativo di “Catharsis”, quello che ha saputo racchiudere l’anima tragica dei Pàrodos sia nella musica che nel testo? 

Senza dubbio “Metamorphosis”, e mi collego anche – nuovamente – al discorso dell’ascolto in sequenza. Non a caso è l’ultimo brano: è stato l’ultimo ad essere composto, in ordine di tempo, e quello che maggiormente rappresenta la maturazione del nostro sound, in questa prima fase di lavoro della band, che ha coperto un arco di circa due anni. Di conseguenza, “Metamorphosis” è un po’ la chiusura del cerchio, la fine del viaggio, la rinascita, sotto nuove forme, dell’anima, dopo la sofferenza, dopo le illusioni, le gioie, le speranze. In questo brano si sublima quel percorso tragico di purificazione, sia dal punto di vista del messaggio (parole e musica) sia dal punto di vista del nostro lavoro di composizione. Questo brano è nato per ultimo, il suo testo è stato concepito per ultimo, e tutto si è incastrato alla perfezione, con naturalezza, forse con il feeling definitivo. Ecco, potremmo dire che l’orientamento futuro del nostro sound è sicuramente da ricercare in “Metamorphosis”, per cui anche e soprattutto per questo si può considerare il brano più significativo dell’album.

Siete una band dal forte spirito underground e si nota anche dalla pubblicazione di un promo di tre tracce “live” che avete distribuito ai concerti. Nel 2017 c’è ancora modo di essere una band dall’etica fortemente radicata nel passato senza perdere l’appuntamento col futuro? 

Nel momento stesso in cui si decide di inserirsi in una realtà come quella del metal, nello specifico del black metal e di tutte le sue molteplici sfumature, senza scomodare i “puristi”, credo non si possa prescindere dall’essere, in qualche misura, underground. Tuttavia, è altrettanto giusto dire che la Live Session che abbiamo deciso di pubblicare è nata per consentire al pubblico di capire, di ascoltare qualcosa di nostro al di là delle esibizioni dal vivo. È stata una necessità, da questo punto di vista: dovendo registrare il disco, di lì a poco tempo, abbiamo ritenuto più opportuno non investire tempo e denaro in una sorta di “demo” che, comunque, visti i tempi, non sarebbe stato considerato da nessuna etichetta o label. Ci siamo rivolti quindi solo e soltanto al pubblico, avendo comunque notato un certo interesse nei confronti della nostra proposta fin dalla nostra prima esibizione dal vivo. Ovviamente, con la produzione e la distribuzione (che speriamo possa partire nel più breve tempo possibile) di “Catharsis”, puntiamo a nuovi orizzonti, più ambiziosi. E crediamo che questo non sia in contrasto con l’etica undergroud che, comunque, ci apparterrà sempre. Del resto, ho sempre pensato che chiunque faccia musica è sempre animato dalla volontà di far conoscere il proprio messaggio, raggiungendo più pubblico possibile. L’importante è mantenere la propria identità e cercare sempre di trasmettere qualcosa, oltre la mera esecuzione. E questo spirito ci accompagnerà in ogni momento.

Domanda finale di rito: state già lavorando a qualcosa di nuovo? State preparando un tour in giro per l’Italia o all’estero? E soprattutto cosa riserva il futuro per i Pàrodos? 

Abbiamo già diversi nuovi riffs e nuove idee, su cui a breve inizieremo a lavorare. Ovviamente, i lavori per le registrazioni dell’album ci hanno sottratto tempo ed energie, ma ora siamo pronti per rituffarci nella composizione di nuovo materiale. Inoltre abbiamo in cantiere un paio di cover, per omaggiare band fondamentali per il nostro percorso. In tutto questo, siamo concentrati sulla promozione di “Catharsis” e dell’attività live, con diverse date da annunciare, per ora sul territorio italiano, ma la situazione è in divenire, quindi il mio consiglio è di restare sintonizzati sui nostri canali ufficiali. Per quanto riguarda il futuro, quello non può prevederlo nessuno. Di sicuro, ci impegneremo con ogni forza per renderlo denso di soddisfazioni!