sabato 31 gennaio 2009

Nu’Metal e memoria storica: System of a Down


I System of a Down , gruppo di origine armena (ex repubblica sovietica al confine con Iran e Turchia) ma trapiantato a Los Angeles (Hollywood), rappresentano un capitolo a parte di quel fenomeno rock tutto” stelle e striscie”definito dalla critica “nù metal”(nuovo metal), un genere che ha spopolato dalla fine degli anni 90 tra tutti i teenagers americani e non, portando all’attenzione del pubblico band come Linkin Park e Korn che, in seguito, hanno sfondato ogni record di vendita. Ma mentre questi ultimi ripropongono in musica i problemi e le angoscie del ragazzo medio americano (tutto violenza , solitudine e abusi infantili) che si identifica non solo con le loro canzoni anche nel modo di vestire(emblematiche le tute Adidas del cantante dei Korn Jonathan Davis), i “systems”, sin dai loro primi passi nel music businness, si sono imposti come un quartetto dal forte impatto politico/sociale. Già dal primo omonimo album datato 1998 su columbia rec capeggiava nel retro copertina un messaggio che è una vera dichiarazione di intenti. I nostri con poche spietate parole dipingevano un mondo ormai in rovina dominato da un sistema (appunto!) schiavo del potere delle industrie e dall’egoismo della politica indicando come unica via di salvezza la rivoluzione oppure la morte. Il genere proposto dalla band è qualcosa di travolgente e di schizzofrenico allo stesso tempo,influenzato dagli stili di musiaca piu’disparati: metal, punk, folk est europeo,musica araba. Il disco ha un immediato successo di vendite e riscuote parecchia attenzione da parte dei media.
Dopo un esteso tour mondiale e un anno di duro lavoro in studio nel 20001, sempre su columbia, viene pubblicato l’agognato suuccessore: Toxicity. Il titolo è emblematico in quanto fà riferimento sia nei testi che nella cover del cd alla città dove vivono, Hollywood, descritta come una metropoli vuota, simbolo di ipocrisia e superficialita’. Ma neanche gli altri brani scherzano: si và dalle condizioni estreme dei carcerati (prison song) ai problemi della povertà (needless) fino all’emarginazione dei diversi (aerials). Inoltre il singer Serj Tankian e il chitarrista Daron Malakian dichiarano in piu’ di un’ intervista di voler denunciare attraverso la loro arte ( e con l’adesione all’Armenian National Commitee of America, un associazione per i diritti civili) il mancato riconoscimento da parte del governo turco del genocidio del popolo armeno avvenuto nel 1915, il quale portò all’uccisione di un milione e mezzo di cittadini su due esistenti. Un fatto storico incredibilmente non ancora accertato e documentato in tutti i libri di storia!!!
Anche Toxicity viene toccato da vendite da capogiro che decretano un successo insperato da parte della band.
Nel 2002 e’ la volta di un album/raccolta di pezzi inediti , Steal this album, pubblicato per far fronte al download selvaggio creato dai pirati informatici riguardo alcune canzoni della band misteriosamente scomparse in studio e poi riapparse su internet.
E’ invece da ricondurre ai giorni nostri , inizio 2006 , la presentazione del nuovo capolavoro della band ( un doppio cd ) col titolo sempre provocatorio di Mesmerize/Hypnotize. Ascoltando i brani subito ci si accorge che la band ha un pò spostato il tiro sacrificando le impennate aggressive rock e metal dei primi lavori per dare maggior risalto alle influenze “aliene” del loro sound. Ecco quidi farsi largo accordi tipicamente folk , cori a cappella, melodie pop e ritornalli dall’appeal radiofonico. Stavolta le tematiche affrontate nei testi , da sempre punto forte della band armena, si presentano invece come una vera e propria rasoiata ( in note ) allo stile di vita americano, ormai assuefatto alla guerra e ipnotizzato da modelli televisivi insulsi e degradanti ( vedi pezzi illuminanti quali Violent pornography, B.y.o.b. oppure Hypnotize quasi un inno generazionale).
Insomma non c’e’ da annoiarsi.
Cercateli!
Scommetto che quella vocina dentro ognuno di noi chiamata “coscienza” ve lo sta gia’ ordinando vero???
Leggi anche il mio speciale sul Nu' Metal:

giovedì 29 gennaio 2009

Jeff Buckley : “Aspetto nel fuoco”


La prima volta che mi imbattei nella splendida e malinconica figura del musicista americano fu in un’anonima libreria di provincia.
Rovistavo tra vari libri e autobiografie in cerca di qualcosa che avesse colmato il vuoto e la noia di una serata d’inverno come tante.
Subito notai un nome a me praticamente sconosciuto in mezzo a due icone sacre e intoccabili , Jimi Hendrix e Jim Morrison:
Quel nome era Jeff Buckley.
Afferrai il libro con un misto di curiosità e interesse e il titolo mi lasciò senza fiato : “ Aspetto nel fuoco “.



Immediatamente lessi le note di copertina : “Un giovane ragazzo innamorato della musica approda a New York , un giorno del 1991. Porta un nome glorioso ma non se ne vanta, anzi , lo nasconde trovando la sua difficile strada col cuore e con la testa negli anni più appassionati del rock. Fino quella tragica sera di primavera…”.
Di colpo posai di nuovo il libro nello scaffale.
Un altro Kurt Cobain che si è fatto bruciare dal successo, pensai, con un’ampia dose di cinismo.
Eppure nell’ampio spazio dello scaffale due occhi tristi e profondi mi guardavano con dolcezza.

Un sorriso appenna accennato e i lunghi capelli spettinati mi dicevano che forse quel Jeff Buckley non era un musicista drogato e maledetto come avevo supposto. Era qualcosa di diverso.
Acquistai l’auto biografia e la lessi tutta di un fiato in una delle notti più belle della mia vita.
Non avevo ancora ascoltato una sola nota dell’unico album pubblicato dallo sfortunato musicista “ Grace “ (Paradiso) nel 1994 e già mi aveva conquistato. A breve arrivò anche il cd e il quadro fu finalmente chiaro: Jeff Buckley era un genio della melodia , una voce candida e sensuale che ti rapiva fino a portarti in paradiso (Grace,appunto) , un compositore di grande spessore e sensibilità.
Ecco la sua storia:
Jeffrey Scott Buckley nacque al Martin Luther King Hospital di Los Angeles ,California il 17 novembre del 1966. Il padre Timothy Buckley III lavorava al Taco bell di Anaheim per mantenere la madre poco più che adolescente di nome Mary Guilbert.
In realtà Tim Buckley , non ancora ventenne, era già un apprezzato cantante folk con diverse esperienze alle spalle sia da solista che in gruppo.
Inoltre si diceva che per un breve periodo di tempo fosse stato compagno di stanza di James Douglas Morrison spronandolo più volte ad intraprendere la carriera di musicista.
Ma anche Tim aveva ambizioni e sogni in tale ambito e un giorno di punto in bianco lascia la moglie e il figlioletto appena nato per diventare un’artista affermato cosa che gli riuscirà poi pienamente.
Questa separazione prematura acuita anche dal risentimento della madre segneranno il giovane Jeff per tutta la vita.
Cresciuto in una famiglia allargata comprendente nonni , zii , fratelli e fratellastri verrà sempre dipinto dai parenti come un ragazzo sereno,dolce ma anche un po’ malinconico cosa che gli frutterà anche il soprannome di “Viejito” , vecchietto, da parte della nonna materna.
Dopo aver preso il diploma con molta fatica anche perché Jeff ,sin da bambino,dimostra maggior interesse per la chitarra acustica e i dischi decide di non continuare gli studi ma di dedicarsi esclusivamente ala musica e ad un’ipotetica carriera.
Entra in diverse band rock e metal ma non sembra ancora trovare la sua strada e quelle esperienze si esauriscono in poco tempo.
Nel 1987 entra in uno stato di forte depressione forse causato anche dall’aver assistito insieme alla madre ad un concerto del padre a Los Angeles. Era la prima volta che lo vedeva ma Tim si rifiuterà di incontare sia lui che la madre. Un evento traumatico!
Nel 1990 al culmine di un malessere esistenziale profondo che secondo le sue stesse parole lo stava quasi uccidendo decide di partire e trasferisrsi a New York.
Qui rinvigorito dall’atmosfera bohemienne della metropoli a da nuove amicizie mette su una nuova band esibendosi nei locali fumosi della periferia Newyorkese.
Scrive parecchie canzoni che prima finiranno nel mini lp dal vivo Live at Sin-è (un cafè artistico) e poi nel capolavoro “Grace” pubblicato dalla major Columbia il 22 agosto 1994.
Si tratta di un vivido affresco di emozioni dipinte con i pennelli del blues, del gospel, del rock , della musica intimistica.
Il disco vende tantissimo catapultando il giovane Jeff tra le stelle del firmamento musicale. Seguono diversi tour mondiali tra cui una data storica a Milano il 16 Settembre 1994.
Ma la tragedia è dietro l’angolo.
Il 29 maggio del 1997 Jeff si sveglia in un albergo di Memphis dopo un’ennesima serata di concerti e subito và a tagliarsi i capelli. Aveva fatto lo stesso alla vigilia di quello che per lui era stato un grosso cambiamento:”la fuga a New York”.
Dopo diversi tour in tutto il mondo sente il bisogno di ritrovare le cose semplici di un tempo quando ancora non era famoso e acclamato.
Decide quindi di fare un bagno insieme al roadie della band Keith Foti nel Wolf River un’affluente del Mississippi .
Entra in acqua con ancora i vestiti addosso e si lascia trascinare dalla corrente. Comincia a nuotare fino ai piloni lontani scomparendo tra le pieghe del fiume. Verrà ritrovato il giorno seguente e riconosciuto dal suo manager. Moriva il ragazzo triste e senza padre e nasceva una stella di radiosa e pura bellezza.
Ecco alcuni suoi versi (tradotti):

E li sento annegare il mio nome
Così facile da conoscere
E da dimenticare con questo bacio
Non ho paura di andare
Ma il tempo passa così lentamente
Aspetto nel fuoco

domenica 18 gennaio 2009

NU' METAL: chi l'ha visto!?!


Il fenomeno musicale definito dai critici “Nù Metal” (dove il termine” nù” sta per “new” mentre l’accezione “metal” tende ad indicare soprattutto la pesantezza dei suoni delle chitarre di estrazione tipicamente Heavy metal) ha avuto il pregio di risvegliare ( ormai quasi un decennio orsono), nel pubblico americano in primis, ormai orfano della meteora rapresentata dal “Grunge”, una fame di rock mai sopita.

Le radici del genere devono però essere ricercate altrove , nei pionieri della scena “Crossover” ossia nelle prime band che hanno saputo mescolare insieme culture e ritmi differenti come quella nera che si identifica soprattutto con il rap e quella bianca che invece è personificata dal rock nelle sue varie forme( Hard Rock, Alternative Rock etc.).

Ma andiamo indietro nel tempo ed esattamente nel Settembre 1986, quando i rappers newyorkesi Run Dmc reggistrarono la cover di “Walk this way” insieme agli stessi autori del brano: gli Aerosmith. Il brano ebbe un successo stratosferico gettando le basi di una futura scena (appunto Crossover) dove diversi gruppi contaminavano i loro suoni con le influenze piu’ disparate. Ricordiamo: Faith no more, Beasty boys, Biohazard, Public Enemy, Rage against the machine, White Zombie, Big Chief, Mordred e una miriade di altri progetti. Ricalcando le orme lasciate da questi ultimi ( in molti casi in maniera prematura) il “Nuovo Metal” non solo ha saputo reinventarsi, creando strutture dei brani molto più orecchiabili , ma ha spostato i confini del genere verso una nuova frontiera ancora inesplorata: l’Elettronica (uno stile da sempre in antitesi con il rock).

Da qui il successo commerciale e di critica di band come Slipknot, Limp bizkit , Korn , Pod, Deftones , Linkin' park, Disturbed, Godsmack, Static x e molti altri.

Poi il nulla.

Tranne rari casi ( Korn e Linkin Park, ormai star musicali a livello internazionale e Slipkont trasformati in una metal band a tutti gli effetti) il resto di quella scena è repentinamente scomparso all'alba del ventunesimio secolo.

Il libro pubblicato dalla Giunti è un ottimo compendio per poter capire i dischi fondamentali e le dinamiche del genere.
Potere ordinarlo a questo link :

giovedì 15 gennaio 2009

LUCIANO COMIDA: PIACERE, MICHELE CRISMANI!

Intervista al noto autore triestino di storie per ragazzi.

Luciano Comida è nato a Trieste nel 1954. I suoi romanzi per ragazzi, incentrati su un tredicenne italianissimo, Michele Crismani, sono stati tradotti in sette lingue e hanno conquistato il cuore di tanti adolescenti in Italia ma anche in tutto il mondo.
Questa la prefazione ufficiale.
Io aggiungo solo che ho conosciuto il buon Luciano durante alcuni giorni particolarissimi per entrambi a Firenze e da allora mi sono appassionato, giorno dopo giorno, ai suoi scritti, al suo seguitissimo blog e ai suoi tanti progetti.
Questa intervista è il frutto più della passione che della critica fredda e distaccata.

Salve Luciano. Mi tolgo subito una curiosità che avevo da un po’ di tempo: Michele Crismani, il bambino tredicenne, nato dalla “tua penna” è un personaggio totalmente di fantasia oppure (come penso io) una proiezione dei tuoi ricordi e dei tuoi sentimenti di quando eri adolescente?
Non diciamo a Michele che l’hai definito “bambino”: ti odierebbe per sempre. Lui vive un’età difficilissima, l’adolescenza, un’epoca in cui il suo corpo e la sua mente cambia, gli arrivano addosso idee desideri paure vergogne insicurezze che prima non conosceva. Insomma, un momentaccio: non è ancora grande e non è più piccolo. E guai a chi lo chiama “bambino”. Forse, da come parlo di Michele persona, si intuisce che lui esiste per davvero. Ma anche no. Cerco di spiegarmi. I personaggi letterari possono diventare reali e acquistare una propria vita, indipendente dalla volontà del loro autore, agire all’insaputa del “creatore” o anche contro i suoi progetti. Mi è capitato più volte di ideare sviluppi alla trama di una storia con Michele ma di doverla cambiare perché lui non la accettava e si comportava diversamente da come avrei voluto io. I personaggi vanno lasciati liberi di essere se stessi. In fondo Michele è il “figlio” di tre genitori: i lontani ma sempre vivi ricordi di me adolescente, l’osservazione che faccio costantemente degli adolescenti di adesso, il modo in cui rielaboro tutto ciò.

Sembri abbracciare una sorta di “serialità” nei tuoi romanzi con protagonista Michele. Prima o poi lo farai crescere e maturare verso l’età adulta oppure rimarrà, nelle tue storie, un eterno ragazzino con la sua vita e le sue disavventure?
All’inizio, il mio progetto era di seguire Michele romanzo dopo romanzo fino ai trenta o ai quarant’anni, inserendo nei successivi titoli le parole “tredicenne”, “quattordicenne” e così via. Ma per fortuna, dopo il discreto successo del primo libro, ho subito capito che quest’idea non andava. Per due motivi: un progetto così ambizioso era al di là della mia portata, insomma non mi ritenevo capace di realizzarlo. Il secondo motivo è che, in poco tempo, il personaggio Michele sarebbe diventato grande e così i bambini e gli adolescenti non avrebbero più letto le sue storie. E allora costringo Michele a vivere in una specie di eterna tredicennità, facendo acrobazie per portare avanti la trama e le sottotrame ma senza farlo crescere. In ogni caso, ho in mente il tema dell’ultimo…spero lontanissimo…libro della saga: lui verrà da me e pretenderà che io lo lasci finalmente libero di crescere.

Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi del mercato editoriale dedicato ai più piccoli (un mondo che ignoravo prima di conoscerti). Come ti ci trovi? Quali sono i suoi meccanismi? Come sei coinvolto e quali sono le tue sensazioni in proposito? Perché hai scelto questo tipo di letteratura per i tuoi libri?
Pur essendo un lettore smodato e onnivoro, leggo pochissima letteratura per bambini e per ragazzi. Non per snobismo ma per non restar paralizzato dalla continua scoperta dell’acqua calda: che Tizio ha già scritto questo, Caio ha già raccontato quest’altra scena e Sempronia ha già descritto queste esperienze. Faccio un esempio: immagino che un bacio tra adolescenti compaia già in centinaia e centinaia di libri per “piccoli”. Non avendo letta nessuna di queste storie, posso raccontare il bacio senza essere schiacciato e condizionato da tutti quegli esempi. Perciò, gli autori per bambini e per ragazzi che leggo sono tutti lontanissimi dal mio modo di scrivere: mi piacciono Walter Moers e il suo continente di Zamonia, Philip Pullman anche se è anticristiano, Lewis e il mondo di Narnia, Winnie Puh, Neil Gaiman, Roal Dahl…
Ho cominciato a scrivere per ragazzi del tutto per caso: perché me l’hanno chiesto. Era il 1997 e avevo appena finito per il piccolo editore Campanotto un libro molto provocatorio e ironico sul fastidio dell’aver figli, “Padri pentiti”. Livio Sossi, che curava la collana di libri per ragazzi, mi suggerì di scrivere un romanzo per adolescenti sul difficile rapporto tra un papà e un figlio. Io gli risposi che di scrivere per ragazzi non me ne importava nulla. Subito dopo apparve, uso questa parola un po’ medianica, Michele e in venti giorni buttai giù “Vita privata avventure e amori di Michele Crismani tredicenne”. Scoprii così che scrivere per bambini o per ragazzi mi piace molto.

Posso farti una domanda un po’ “scomoda”? Secondo il tuo parere Michele rappresenta realmente i ragazzini di oggi con le loro “fissazioni” e i loro problemi adolescenziali oppure è un personaggio nato in un mondo lontano e astratto come quello della fantasia? A volte, leggendo, ho pensato che lo dipingevi come un ragazzo di un’altra generazione?
Domandarlo a me è come chiedere a un produttore di vino se il suo rosso è buono. In tutta sincerità io potrei rispondere che lo bevo anch’io, che a me piace e che dentro non ci metto polverine strane o sostanze chimiche ma lo faccio solo con l’uva coltivata nelle mie vigne. Ma al di là delle battute vinicole, è una questione che mi sono posto molte volte, anche discutendone con mia figlia Francesca, che ha ventiquattro anni e che è una preziosa e critica consigliera. Posso dire che, in genere, nei tanti incontri pubblici che ho con i bambini e con i ragazzi nelle scuole o nelle biblioteche, mi dicono di sì, che in Michele ritrovano un sacco di frammenti di se stessi, modi di essere, espressioni verbali e mentali, confusioni esistenziali, gusti musicali e cinematografici. D’altra parte è evidente: per quanto io possa sforzarmi e aggiornarmi, resto pur sempre un uomo nato nel 1954.

Ho avuto il piacere di leggere altri tuoi scritti oltre a quelli dedicati al tuo personaggio principale. Penso a “Lesioni Lievi” , una serie di vignette gustosissime e ironiche sugli innamoramenti giovanili oppure le serie di racconti (penso inediti) denominati “ I racconti di Claudio e Marina”. In questi ho riscontrato una sorta di tuo ritorno al passato visto con ironia ma anche con disincanto. Che ne pensi? I racconti verranno pubblicati?
Devo prendermi un po’ di tempo per dar loro una revisione definitiva, anche alla luce dei consigli di amici e amiche a cui li ho fatti leggere. Con obbligo di critica spietata. Poi, una volta sistemati, li manderò a qualche editore. E vedremo cosa succede.

Continuando con “Lesioni Lievi” ho notato (con favore) il tuo coinvolgimento nel mondo dei fumetti? Ci saranno ancora futuri sviluppi in proposito? Michele Crismani lo vedo bene in una storia a strisce (soprattutto “Michele Crismani vola a Bitritto”).
Io frequento i fumetti da quando avevo pochi anni, nemmeno sapevo leggere e guardavo solo i disegni. E molti dei miei scrittori preferiti sono appunto autori di fumetti: penso a Pratt, Pazienza, Schultz, Gaiman, Barks, Altan, Watterson, Magnus, Taniguchi. Qualcosa ho scritto anch’io…un giallo ambientato a Trieste nel 1915, una ventina di brevi storie con Michele sul mensile “Konrad”…ma ho l’impressione di non essere molto bravo, come sceneggiatore. Però continuerò ancora, con i fumetti.

Visto che sei un accanito lettore e un attento cinefilo, potresti indicarmi alcuni titoli e film che ultimamente ti hanno impressionato (sia in positivo che in negativo)?
Ieri sera ho finito di leggere “2666”, l’immenso romanzo postumo di uno scrittore cileno che amo, Roberto Bolano: un giallo ma anche una riflessione sulla violenza del mondo, un libro sui libri ma anche...Inutile riassumerlo: “2666” è un’opera che guarda negli occhi ognuno di noi. Un paio di mesi fa mi ha colpito molto il saggio del magistrato Roberto Scarpinato, “Il ritorno del Principe”, un’analisi lucidissima della storia italiana e del rapporto tra classi dominanti e criminalità, un libro che andrebbe portato nelle scuole. Ho rivisto in dvd un telefilm italiano di quindici anni fa, le cinque puntate di “Voci notturne”, scritto e sceneggiato da Pupi Avati. La Rai lo trasmise a ore tarde e mai più lo ripropose. E’ un piccolo capolavoro: terrificante ritratto dell’Italia anni Novanta, tra occulto e corruzione politico-economica, misteri millenari e neonazismo. Un delitto che sia ignorato.

E invece il libro altrui che avresti voluto scrivere?
Tutti i libri che amo avrei voluto scriverli io. E per certi versi è come se li avessi partoriti proprio io, perché chi legge diventa sempre creatore al fianco dell’autore. Se però devo citare qualche titolo in particolare, direi i racconti di Julio Cortazar e di Raymond Carver, le poesie di Emily Dickinson, le storie partigiane di Beppe Fenoglio, “Horcynus Orca” del siciliano Stefano D’Arrigo, le opere di Primo Levi, “Confessioni di un italiano” di Ippolito Nievo, “Le tre stimmate di Palmer Eldritch” di Philip Dick, la “Storia della mia vita” di Casanova, “Orlando furioso” di Ariosto, i Peanuts di Charles Schultz, “La taverna del doge Loredan” di Alberto Ongaro, i gialli con Maigret di Simenon.

Parliamo di scrittura: secondo Tiziano Sclavi (autore del fumetto bonelliano, Dylan Dog) “il segreto della buona sceneggiatura è leggere diecimila libri. Vedere diecimila film. Ascoltare diecimila musiche. Visitare diecimila mostre d’arte. Giocare a diecimila videogiochi. Poi si può cominciare a fare qualche tentativo.” Per te è stato lo stesso? Un giovane autore ha degli obblighi precisi?
Spesso, alla fine degli incontri, si avvicina qualcuno, di solito una ragazzina, e mi chiede se c’è un segreto per diventare scrittori. Rispondo che ce ne sono tre: leggere molto, scrivere molto, imitare molto. Solo facendo così si impara, pian piano, a trovare la propria voce e il proprio stile. E solo attraverso il continuo confronto con gli altri autori ci si rende conto di quanto non si finisce mai di imparare.

Mi ricollego a un discorso che amo molto: quello della Musica. Che colonna sonora sceglieresti per le avventure di Michele? Musica e Letteratura sono un binomio perfetto? Ci sarà più spazio per citazioni musicali nei tuoi futuri scritti?
Io amo soprattutto il rock “classico” e chitarristico, da Roy Orbison a Ben Harper, dai Creedence ai Wilco, Springsteen, Young, Kinks, Ramones, Love, Allman Brothers, Janis Joplin, Hendrix, Clash, Tom Verlaine, Who, Tom Petty, Davide Van De Sfroos, Beach Boys. Ma anche la classica di Mozart o di Giovanni Sollima, il jazz di John Coltrane o di Keith Jarrett. Insomma, la musica è una parte fondamentale della mia vita: dischi, concerti, video…Con Michele abbiamo gusti diversi. Condividiamo solo la passioncella per il Liga, anche se io negli ultimi tempi lo seguo molto di meno perché la sua svolta sempre più pop non mi convince. Michele è molto influenzato dalle mode del momento: adesso si è già stufato dei Tokio Hotel. E gli piaciucchiano gli Snow Patrol: glieli ha fatti conoscere la compagna di classe Arundhati Nambudiripad, di origine pakistana.

Elencami una serie di dischi che hanno ispirato le tue opere letterarie vecchie e nuove e il cd che non potresti mai togliere dal lettore?
“Born to run” di Springsteen, una qualsiasi raccolta (anche se ho le loro discografie complete) dei Creedence Clearwater Revival e dei Ramones, “Sandinista” dei Clash, un Neil Young elettrico e tempestoso, “Viaggio in Italia” di Sollima, “My favorite things” di Coltrane, “Kind of blue” di Miles Davis, Battisti che fu la musica dei miei quindici anni e che resta un grande…

Ultima domanda: si dice che i poeti e gli scrittori (ma anche i musicisti) siano esploratori di “altri” mondi” che suscitano fascino e terrore allo stesso tempo. Luciano Comida ha trovato il suo mondo o lo sta ancora cercando?
I libri offrono la possibilità di esplorare tantissimi mondi. E quando sto scrivendo, entro nello stesso momento in tre dimensioni. Sono lo SCRITTORE che inventa una storia, ma sono anche il PERSONAGGIO che vive quella stessa storia e sono pure il LETTORE che sta leggendo quel testo che si viene formando. Ecco allora che il momento della creazione letteraria…scusa se uso un’espressione così pomposa…diventa quasi magico perché ci fa trascendere dalla nostra esperienza normale per varcare soglie inaspettate. E riusciamo a farlo a costo zero, standocene seduti, senza assumere nessuna sostanza allucinogena, senza effetti collaterali. E con la possibilità di trasmettere poi almeno una parte di queste esperienze ad altre persone, sotto forma di libri.

Luciano, grazie di cuore per la chiacchierata. Lasciamoci delineando i tuoi progetti futuri e qualche gustoso anticipo…
Spero di morire all’improvviso a centodue anni assieme a mia moglie Tatjana, mentre sto scrivendo qualcosa di molto comico, lei sbircia dietro le mie spalle e ridiamo tutti e due a crepapelle. Dunque i progetti sono tanti. Sto finendo l’ottavo romanzo con Michele, “Michele Crismani e altri animali”, che dovrebbe uscire nel 2009. Poi sempre Michele sarà co-protagonista di alcuni racconti scritti per l’Azienda sanitaria di Trieste: hanno per tema i vecchi delle case di riposo. E ancora: assieme alla mia amica delle Langhe Lalla abbiamo finito un libro per bambini scritto dai nostri quattro, due lei e due io, cani. Ho terminato un giallo per adulti ma alle “cavie” cui l’ho dato in lettura non è piaciuto per nulla, per cui dovrò rimetterci le mani a fondo. I racconti con i personaggi di Claudio e Marina saranno presto sistemati. Continuerò a collaborare a vari giornali…Insomma, non mi annoio.

IL CULTO DEL FIUME SARNO: PICCOLA GUIDA TURISTICA

IL Teatro Tardo-Ellenistico di Foce e il culto del fiume Sarno
di Eduardo Vitolo

Sin dagli albori della civiltà dell’uomo la presenza di acqua è stata sempre salutata come simbolo di vita , di fede ,di fecondità e benessere.
Elementi indispensabili affinché quello che tutti definiscono come progresso possa trovare il suo giusto corso abbracciando qualsiasi estrinsecazione dello scibile umano: arte , religione , scienza etc.
Il territorio di Foce in epoca Tardo-Ellenistica si prestava bene ad abbracciare uno sviluppo che finora non aveva visto eguali in tutto il territorio circostante tranne il caso della fiorente città di Pompei ormai piccola metropoli ricca di fascino e soprattutto commercio.
Sovrastata da un monte di origine vulcanica, il Saro , da cui partiva la sorgente del fiume omonimo , la ricchezza di queste acque incontaminate aveva creato i presupposti di insediamenti fin dalle epoche più remote come l’età della pietra e quella del ferro.
Inoltre studi abbastanza recenti fanno ritenere che il nome “Sarno” provenga dal greco “Saron”, nome di un fiume che scorre nel territorio di Trezene nel Peloponneso. Infatti secondo lo storico Conone vissuto in epoca Romano-Augustea, i Peslagi popolazioni originarie della penisola greca, pervennero attraverso il fiume nella valle del Sarno dove poi si stanziarono.
Il periodo della colonizzazione greca è da considerarsi, quindi, come un passo decisivo verso lo sviluppo socio-culturale di tutto il territorio dell’agro-sarnese mentre poi con l’espansione del potere dell’ Impero Romano, Sarno, raggiungerà il suo massimo periodo di fioritura.
Ed è proprio in questo florido passaggio di consegne tra due grandi civiltà del passato, che si deve collocare la costruzione del Teatro di Foce.
Bellissima testimonianza del periodo storico Ellenistico-Romano fu rinvenuto in modo causale durante i lavori di sbancamento per la costruzione di uno stabilimento Star nel 1965.
La costruzione originaria del teatro , in base anche all’esame dei materiali rinvenuti , si può far risalire alla II metà del del II secolo ( intorno al 100 a.c.) e ripete nello schema quello dei teatri ellenistici del III secolo a.c. In seguito subì una serie di modifiche in età romana.
Si tratta di un complesso strutturale innalzato lungo il pendio della collina che molto probabilmente faceva parte di una zona adibita a santuario votivo. Infatti sono state trovate numerose statuette tra cui una figura di donna incinta, una madre con bambino e altre figure femminili che si riferiscono al culto della Dea dell’Abbondanza a cui era dedicata l’intera zona. Essa era anche dea delle messi e dell’agricoltura legata ad un popolo prevalentemente contadino che viveva dei frutti della terra con l’aiuto delle vicine sorgenti del fiume Sarno anch’esso divinizzato e personificato come un giovane con piccole corna tra i capelli simile ad un fauno.
La prima fila, riservata alle autorità e ai sacerdoti ,era formata da sedili in tufo abbelliti da braccioli scolpiti in zampe di leone, ali di rapace e sfingi.
Gli altri sedili invece ,destinati alle persone comuni, dovevano essere fatti in legno.
Le due entrate laterali permettevano l’accesso direttamente all’orchestra e poi attraverso dei gradini ai posti riservati in prima fila. Alle spalle della scena si innalzava ancora un portico con basamenti di tufo e colonne poligonali.
Il teatro fu poi danneggiato dal terremoto del 62 d.c. e la sua area repentinamente abbandonata.
Infine l’eruzione del Vesuvio del 79 d.c. sigillò definitivamente la zona rendendo il fiume non più navigabile dal mare.
E’ importante fare una precisazione.
Teatri simili a quello di Sarno sono stati scoperti in altri scavi fatti a Pompei ( il Teatro Piccolo), Pietrabbondante e a Teano. Ma secondo gli storici quello presente sul nostro territorio, testimoniato anche dai tanti reperti finora ritrovati, va ritenuto come il più antico.
Ovviamente anche il lettore più sprovveduto avrà capito il valore immenso racchiuso nelle testimonianze storiche presenti a foce senza ulteriori spiegazioni di ordine tecnicho oppure storico.
Eppure mentre mi accingo a chiudere questo articolo ripenso al Museo di Sarno tuttora chiuso e al Teatro di Foce spesso abbandonato ad una indifferenza ingiustificata e mi chiedo con un senso di vuoto e di rabbia: “Ma chi di dovere ha capito l’importanza di questi reperti?”

Fonti:
Guida al territorio del Sarno -1994 .
Storia di Sarno e dintorni – Silvio Ruocco 1945.
Storie Sarnesi – Orazio Ferrara 1993.

mercoledì 14 gennaio 2009

Turismo a Sarno: utopia!

Se inseriamo la frase “Turismo a Sarno” in un qualsiasi motore di ricerca sul web avrete una sfilza di posti interessanti che farebbero quantomeno sobbalzare il viandante di turno il quale rapito da cotanta sbornia di cultura e arte potrebbe decidersi a raggiungere le nostrane sponde.
Ecco un assaggio:
Museo della valle del Sarno.

Vi sono conservati reperti della civiltà del Sarno risalenti all'età del ferro, fino all'epoca romana.
Teatro classico

Probabilmente faceva parte di un santuario degli ultimi secoli a.C.. E' stata rinvenuta solo la parte bassa della cavea con sedili in tufo grigio locale con braccioli decorati a figure. L'orchestra e il proscenio del teatro, paragonabile al teatro piccolo di Pompei, risalgono al I secolo a.C..
Torri e cintura muraria

La cinta muraria, di forma triangolare, di cui si conservano molte parti, come lungo il terrazzo di S. Matteo, è interrotta da alcune porte, come quella presso la torre normanna e quella sotto la chiesa di S. Matteo. Sono visibili anche torri a pianta circolare che salgono fino al castello.
Castello Risale all' Alto Medioevo, purtroppo oggi è ridotto allo stato di rudere. Nelle vicinanze si trovano due torri aragonesi del XV secolo.
Tutto bello.
Tutto visitabile secondo il sito e la provincia.
Ah!
Partiamo dall’inizio.
Quest’estate ho invitato a Sarno alcuni amici da fuori ( nel senso di non campani).
Una mattina di agosto decidiamo di fare i turisti nel mio paese e la cosa mi rende lusingato e elettrizzato.
Subito mi offro di far loro da cicerone.
Beh! sarà un’esperienza mortificante.
Per primo decidiamo di visitare l’anfiteatro di Foce.
Troviamo il cancello aperto e in qualche modo mi sento rassicurato.
La cosa sembra fattibile
Entriamo nella zona archeologica e un custode gentile ma visibilmente sorpreso ci dice che possiamo visitarlo senza problemi.
Ma è solo il custode non una guida quindi ci lascia tutti soli in mezzo alle fascinose pietre antiche.
Non so che fare.
Un mio amico mi chiede una brochure per capirci qualcosa e imbarazzato gli rispondo che non ho la minima idea se esistano.
Tentiamo di decifrare il cartellone a lato del teatro ( unico segno di una qualche presenza di “turistica attitudine”) e dopo poche battute storiche la visita è bella che finita.
Un’altra amica mi fa notare che altri paesi in altre zone d’Italia farebbero pagare il biglietto per una visita del genere e ci sarebbero tutti i servizi necessari ad una zona archeologica.
Annuisco con la testa ma vorrei metterla sotto un masso per la vergogna.
Decido di portarli al Museo della Valle del Sarno.
Le sorprese non finiscono ovviamente.
Portone chiuso.
Spiegazioni nemmeno a cercarle col lanternino.
Chiuso e basta.
Ormai prossimo ad una crisi di pianto decido di far visitare loro il Castello Medievale sul Monte del Saretto.
La situazione non cambia di molto visto che pur arrivando con qualche difficoltà sulle pendici e riuscendo poi con una mezza scarpinata a raggiungere la cinta muraria anche qui la visita si conclude solo con una veduta panoramica e ulteriori spiegazioni sulla cattiva gestione del nostro patrimonio storico/culturale.
Per la cronaca i miei amici rimarranno comunque incantati da Borgo San.Matteo e dal Duomo di Episcopio.
A conti fatti mi sembra un po’ poco rispetto a quello che potrebbe offrire Sarno se solo ci fosse una più incisiva riqualificazione del turismo in tutte le sue forme.
Io intanto ho ancora ben in mente ( ormai un’ossessione…) l’espressione del mio amico che con occhi sbarrati e accento settentrionale marcato mi chiedeva perplesso: “ Ma come ha fatto Sarno ad essere inserita nel percorso turistico/archeologico della Regione Campania?”
Caro amico me lo chiedo anch'io!

Sarno e il terrore della pioggia


Negli ultimi giorni dell’anno 2008 si è ripresentato sul nostro territorio la minaccia angosciante e prorompente delle forti piogge con relativa attenzione alle zone colpite dalla frana del 5 Maggio 98.
E’ scattato subito il preallarme della Protezione Civile rientrato solo dopo poche ore.
Ma all’arrestarsi delle piogge sono aumentate di pari passo le polemiche e i dubbi.
Secondo i dati presi recentemente sul web in Campania ( riferendosi a Sarno, Quindici, Siano e Bracigliano in particolar modo) ci sarebbero 31.580 persone esposte al rischio-frane ( un numero pari a tutta la popolazione di Sarno e Quindici messe insieme).
E questo spinge Legambiente all' ennesima denuncia: «Se oggi registriamo soltanto danni materiali, dobbiamo ringraziare la Protezione civile che stavolta ha funzionato. Ma è assurdo che dopo tanti anni la ricostruzione non sia ancora iniziata sul serio» ( Corriere della Sera 29/12/08).
Il problema maltempo non ha solo interessato le parte montagnosa del paese ma una nuova “Spada di Damocle” che potrebbe creare ulteriori dissesti idrogeologici a tutto l’ambiante nostrano: lo straripamento del fiume Sarno.
Il 3 Gennaio di quest’anno dopo una serie di fortissimi acquazzoni il fiume è esondato nella zona di Via Marconi a San Marzano inondando fortunatamente solo i campi circostanti trattandosi di una zona perlopiù agricola.
Non è il primo caso nell’agro nocerino sarnese:
Nel Dicembre del 2004 sempre il fiume Sarno straripò a Foce creando grossi stati di ansia a tutta la popolazione del posto. Anche in quel caso Legambiente denunciò la cosa con velocità e durezza: “In questi giorni di fine anno la popolazione è angosciata dei pericoli di straripamento e inondazione dei fiumi che attraversano l’Agro sarnese nocerino. Ancora il Sarno che straripa a Foce dopo una giornata di pioggia e grandine. La verità è che la terra a Foce non assorbe più acqua. Nei comuni dell’agro appena un terzo dei 438 Kmq è rimasto libero da costruzioni. Se non si ferma il cemento, l’asfaltazione dei piazzali a servizio delle aziende, siamo destinati a vivere in una continua preoccupazione, come quella di questi giorni. La verità è che sono oltre 50 anni, dall’alluvione di Salerno, che ad ogni pioggia l’Agro deve fare i conti con lo straripamento e la devastazione provocata dalle esondazioni. Noi pensiamo che in questo marasma il Fiume non ha nessuna colpa”.
La natura che sembra essere sempre la prima colpevole di tutte le sofferenze patite dalla popolazione sarnese già all’epoca ne usciva ridimensionata e in parte assolta.
Era l’uomo la vera minaccia.
Ricordiamo anche e l’Ottobrel 2006 e la paura che investì Lavorate,dove si fece largo,ancora vivo, il ricordo della frana del ‘98. L’intera frazione sarnese fu invasa da acqua mista a fango e detriti. Garage, scantinati e strade furono allagati in pochi minuti. La zona più colpita fu località San Marino. Il violento nubifragio evidenziò la vulnerabilità dei versanti a ridosso dei nuclei abitati della zona di Lavorate, già segnalato dal Centro operativo comunale di protezione civile l’11 maggio 2006 e il 26 settembre 2006, all'indomani di altri due eventi simili. All’epoca finì sotto accusa il Commissariato di Governo per i ritardi nella mancata messa in sicurezza dei versanti del Monte Torre Gatto e gli incendi boschivi della pineta Voscone.
Un bollettino disarmante. Una storia che si ripete con diabolica precisione svizzera ogni anno.
C’è un bravissimo giornalista di Sarno, Luigi Colombo, mio amico e collega. che proprio in questi giorni ha pubblicato sul sito http://www.colonnarotta.it/, una minuziosa relazione sui problemi idrogeologici irrisolti dell’agro nocerino sarnese intitolato “Vedi Sarno” ( titolo eloquente).
Ecco uno stralcio dell’ennesima denuncia di scempio del territorio:
Il rischio idrogeologico è la grande e silenziosa emergenza della Campania, alla quale si risponde – spesso con enormi ritardi, vedi appunto Sarno – solo quando l’evento catastrofico si è concretizzato nella sua forma più devastante…Per riparare alla fragilità del territorio e a anni di abusi si risponde con altro cemento. Anche per Nocera Inferiore pronte vasche, canali e briglie per mitigare il rischio. Esportare il "modello Sarno" costa 24 milioni di euro. Soldi che non ci sono per interventi più che discutibili.
Giornalisti, Legambiente e semplici ma attenti cittadini denunciano indignati la messa in sicurezza ( mancata) di Sarno e di tutto l’Agro.
Mi auguro che i candidati alle politiche del 2009 ne tengano conto ( sul serio!!!) nei loro programmi.
Non si gioca più sulla pelle degli altri.
I tempi della superficialità e dell’approssimazione sono finiti.

martedì 13 gennaio 2009

Intervista: ETNIA


Etnia: “Il Futuro è una palla di cannone accesa…”

Che fatto strano e oltremodo significativo! Ho intervistato gli Etnia (ottima band partenopea) proprio in un periodo in cui il noto settimanale Tv Sorrisi e Canzoni pubblicava uno speciale sui divi “Neo Melodici Napoletani”. Da qui l’idea di creare anch’io una piccola finestra di “reazione culturale e musicale” a quella scena.
Tutto questo per dire: a Napoli si va anche oltre gli stereotipi e la massificazione di genere.
Gli Etnia ( insieme ai Pennelli di Vermeer) sono qui per dimostrarcelo:

Salve Ragazzi. Quando nasce il progetto musicale denominato Etnia? Come si è evoluto nel tempo? Dietro mi sembra di intravedere un concept ben preciso o mi sbaglio?
Il progetto ETNIA nasce, in via embrionale, nel 1997. Allora eravamo degli studenti delle superiori (frequentavamo lo stesso Istituto Tecnico Industriale, l’Enrico Fermi di Napoli) e iniziavamo a far sentire le cose che scrivevamo nei concerti che si tenevano nelle scuole. Tuttavia, fin da allora il nostro intento era molto chiaro: scrivere e suonare quello che “sentivamo”, senza pensare a generi e stili, ma lasciandoci portare dalle note e dalle idee.
La sua evoluzione è legata alle diverse collaborazioni avvenute nel tempo. Tutte hanno arricchito il bagaglio Musicale del Progetto, ognuna lo ha impreziosito con il proprio Stile e dato un colore diverso e mai pericoloso per la nostra personale “etnia” . Gennaro Persico e Fabrizio Calì sono da sempre il Totem e il Fulcro vitale del Progetto ed è da qui che parte ogni tipo di Ricerca e stimolo per quella sorta di “concept” di cui tu parli. Non dimenticando mai il punto di vista di Co-Autori fondamentali come Salvatore Chianese che di “Tracce Di Noi” è stato anche Co-Produttore e Co-Direttore Artistico.
La vostra proposta si inserisce in un genere, quello cantautorale/Pop, Acustico che sembra attraversare un periodo di rinascita dopo un lungo silenzio (penso agli ultimi cd di Conte, Fossati, Baustelle etc.) Come vi ponete in tal senso? Ne state raccogliendo i frutti?
In verità gli ETNIA tentano, con la loro proposta, di contribuire al “superamento” del concetto di “genere musicale”: soprattutto per quanto riguarda gli arrangiamenti cerchiamo di far dialogare stili diversi, il cui risultato sia (almeno si spera!) più della somma dei singoli contributi. Tuttavia è assolutamente vero (e “Tracce di noi” lo dimostra) che prediligiamo i suoni acustico ed uno stile di scrittura “cantautorale”; ma ciò per noi costituisce un mezzo e non un fine. Chissà, magari il secondo disco degli ETNIA sarà interamente elettronico, chi può dirlo. Inoltre non sappiamo se “rinascita” sia l’aggettivo più appropriato: spesso le migliori proposte vengono nascoste, disturbate e ostacolate ma sono comunque sempre presenti e si nutrono anche del silenzio stesso dei media.
Credo che il “vostro cavallo di battaglia” sia il brano “Sono così” dalle atmosfere melodiose e accattivanti. Ne parliamo?
Il nostro è un disco autoprodotto, quindi non ci siamo posti il problema del “singolo” ma abbiamo da subito cercato di portare avanti tutto il disco; tuttavia “Sono così” ha un posto speciale nei nostri cuori: è stato il primo brano che abbiamo messo sul nostro myspace prima ancora che il disco uscisse ed ha subito avuto un forte gradimento da parte di chi l’ha ascoltata. Il segreto di quella canzone è l’estrema semplicità melodica ed armonia unita ad un testo per niente banale. Potremmo definirla come “il manifesto degli ETNIA”: un inno alla bellezza della diversità d’ogni individuo.
Ho notato in alcuni vostri brani delle non velate influenze jazz che rendono il vostro suond più fumoso e meno prevedibile. E’ questo il futuro degli Etnia?
Crediamo di aver in parte già risposto prima a questa domanda. Possiamo solo aggiungere che il jazz si caratterizza storicamente come un “non-genere”, che fa dell’ibridazione e dell’improvvisazione i suoi capisaldi. Questo non poteva lasciarci indifferenti ed è il motivo della scelta delle due special guest del disco: Antonio Onorato e Marco Zurzolo, due grandissimi jazzisti che non disdegnano incursioni in universi musicali lontani dai loro. Proprio quello che cerchiamo di fare noi. E poi, come scrisse benissimo De Gregori: “il futuro è una palla di cannone accesa…” … nessuno può dire dove precisamente cadrà e ciò che comporterà.
Avete da pochissimo pubblicato il vostro primo cd. Come lo presentereste ad un pubblico poco attento come quello attuale? Quale valido argomento calereste dal cilindro? Che cosa vi aspettate dalla pubblicazione?
Questo disco per noi rappresenta un investimento, ma non in senso economico (almeno non solo!). “Tracce di noi”, pur inserendosi in un ambito “pop” non ha i crismi della “commercialità”; inoltre il Progetto vive ancora la condizione di AutoProduzione e ciò comporta inevitabilmente l’esclusione dai Grandi Circuiti Promozionali. Tuttavia, noi crediamo che sia possibile dare un seguito ad una siffatta proposta musicale perché crediamo che non sia tanto il pubblico ad essere poco attento. Forse ad essere “piatta” è l’attuale produzione musicale, almeno italiana.
Discorso Napoli – concerti. Mi sembra di capire che la situazione non vi veda granché soddisfatti o mi sbaglio? Che ne pensate della folta schiera di band rock ( genere a voi antitetico) che dal nulla si stanno imponendo non solo a livello locale? Si può parlare di una scena Jazz/Pop/ Cantautorale a Napoli?
Il problema è dovuto soprattutto ad una mancanza di spazi per poter proporre la musica emergente: soprattutto nei locali (anche quelli più specializzati) si tenta sempre di “andare sul sicuro” con artisti già rodati. Gli spazi che restano vengono riempiti da realtà che non definiamo antitetiche alle nostre, piuttosto diverse: gli ETNIA sono un “duo” che si avvale della collaborazione di musicisti professionisti, che come tali vanno giustamente pagati. Le “band” classiche (pop, rock, rap, poco importa) possono permettersi, soprattutto all’inizio, di suonare anche gratis o con caché esigui, cosa che noi non possiamo fare.
Il momento migliore e quello peggiore nella storia degli Etnia?
Lasciamo alle spalle i momenti peggiori e le cattive persone: guardiamo verso ciò che fa bene alla Nostra Musica e che ci arricchisce Dentro.
Per gli Etnia quali sono gli artisti in campo musicale, letterario e pittorico che possono essere ritenuti degli d’attenzione per espressività soggettiva e originalità al giorno d’oggi?
Hai citato i Baustelle e sottoscriviamo, aggiungiamo Lorenzo Cherubini, Daniele Silvestri e il magico Capossela. Abbiamo un debole per le pagine squisitamente sociologiche e per Diego Cugia… e ovviamente siamo curiosi di leggere “Telepatia con i deceduti”! (Grazie!!! N.d.Edu)
Essere artisti non è mai facile soprattutto nelle nostre zone. Gli ostacoli e la diffidenza sono all’ordine del giorno. Che cosa fate nella vita comune quando non siete su un palco a proporre la vostra musica?
Sarebbe meraviglioso poter vivere soltanto dei propri Sogni ma è una condizione che soltanto pochissimi fortunati hanno il privilegio di raccontare. Bisogna necessariamente lavorare, continuare a studiare e faticare per coltivare le proprie aspirazioni… noi siamo tra questi.
Grazie di cuore per la chiacchierata.

Salutiamoci delineando i vostri progetti futuri e dove i nostri lettori possono contattarvi e sapere qualcosa di più sulla band…
Innanzitutto grazie a te ed ai tuoi lettori per lo spazio che ci avete dedicato (sperando di non avervi annoiati). Come progetti futuri c’è la volontà di incidere una nuova canzone che abbia delle finalità particolari, ma non diciamo altro per scaramanzia. Chi ci volesse conoscere meglio può farlo visitando i nostri siti ufficiali: www.myspace.com/progettoetnia e http://www.etnia4ever.it/. Da questi siti è possibile anche acquistare i nostri brani o l’intero nostro lavoro discografico. Un abbraccio dagli ETNIA.

Intervista ai PENNELLI DI VERMEER


Intervistare una band dal forte appeal emozionale (sia musicale che artistico) come i napoletani Pennelli di Vermeer ci riconcilia con un mondo, quello della band underground, dove la sofferenza. le aspettative non mantenute e il disincanto sembrano farla da padrone.
Qui abbiamo un gruppo forte di persone capaci e decise che per il sottoscritto ( insieme ai salernitani da’namaste) rappresentano l’attuazione insindacabile di un vecchi proverbio popolare:”Volere è potere”.
Speriamo che i Pennelli diventino un esempio, un binario su cui altre realtà locali possano trovare un appiglio sicuro, una strada percorribile, su cui non demordere ed andare avanti.
Partiamo da una domanda che di solito si fa alla fine.

E’ uscito da poco il vostro nuovo album ”La primavera dei sordi (La Canzonetta/Sintesi 3000)”. Che cosa vi aspettate da questa nuova uscita? Com’è stato il processo di creazione/registrazione delle nuove canzoni?
Ci aspettiamo che le persone comprino il cd ma soprattutto speriamo di fare tanti concerti live per divulgare al meglio la nostra musica.
Avevamo le provinature dei pezzi nuovi con voce e chitarra. La cosa sorprendente è stata che in genere i pezzi prima di registrarli si provano in sala curandone l’arrangiamento; noi invece per un buon nucleo di pezzi del nuovo cd siamo partiti direttamente dal registrare le batterie per poi ricamarci basso, tastiere, chitarre, archi, voci e texture elettroniche.
Grazie alla co-produzione artistica con Ercole Longobardi abbiamo sperimentato un un po’ di elettronica che si innesta sul nostro prog-rock dando dei risultati imprevedibili.
Dalle nostre prime autoproduzioni sono cambiate tante cose. Ascoltare per credere.
Il pittore olandese J. Vermeer viene definito come il maggior esponente della pittura d’estrazione borghese dell’Olanda seicentesca dai toni chiari e luminosi tipici della vita quieta e silenziosa.
Come si incastra tutto questo nella vostra musica?
Ad ogni nostro live immaginiamo Vermeer che si rivolta nella tomba mentre mangiucchia le ossicina delle sue mani. Chissà quante volte si ripete: “ Che c’entro io con cinque napoletani che fanno rock?. Che c’entro io con cinque napoletani che fanno rock?” D'altronde non si sbaglia ma come direbbe lo scrittore francese Loutremont: “Il bello è nell’incontro fortuito su un tavolo di anatomia tra una macchina da cucire e un ombrello”. Pasquale Sorrentino (autore, voce e chitarra acustica) è appassionato di pittura; propose il nome di Vermeer e qualcuno aggiunse la parola pennelli.
Ecco come sono andate le cose. Spesso per giustificare un nome s’inventano storie avventurose. Noi non siamo bravi a farlo.
Per i Pennelli di Vermeer quali sono gli artisti in campo musicale, letterario e pittorico che possono essere ritenuti degli d’attenzione per espressività soggettiva e originalità al giorno d’oggi? Chi sono I Vermeer del nuovo secolo?
Beh questo si che è un domandone…allora butteremo fuori nomi a raffica. Per la musica: Ennio Morricone, Gaber, De Andrè, PFM, Beatles, Genesis, Queen, Nirvana, Ray Charles, Sly and Family Stone, Creedence Clearwater Revival, Luigi Tenco, Neil Young, Enaudi, Allevi, Kraftwerk, Mozart, Gentle Giant, Bjork, Janis Joplin, Mina e almeno altri 100 nomi che non possiamo elencare.
Per la pittura: Vermeer, Munch, Otto Dix, Bosch, Rembrandt, Caravaggio, Bacon, Courbet, Gericoult, Artemisia Gentileschi, i Futuristi, i Surrealisti, i Dadaisti, Franz Marc, Goya, E. Manet, Tintoretto, Correggio, Signorelli e almeno altri 200 nomi che non possiamo elencare.
Per la letteratura: Joyce, Rimbaud, Baudelaire, Calvino, Sciascia, Pirandello, Austin, H. Boll, Loutremont, R. Hausmann, Apollinaire, Montale, F.T. Marinetti, i poeti russi, Benni, Gadda, Conrad, Stevenson, Balzac, Twain e almeno altri 300 nomi che non possiamo elencare.
Tutti questi nominati e tanti altri che ci sono sfuggiti….saranno sempre attuali, oggi come fra cinquecento anni.
Su Wikipedia – Enciclopedia on line – si parla di voi in termini quantomeno entusiastici.
C’è scritto: “Quella dei Pennelli è una proposta bizzarra, ove i brani sono spesso concepiti come “micro-suite” visionarie dai toni goliardici ma anche metafisici. Un esempio di rock barocco, irregolare e stravagante.” Potresti spiegare meglio questo concetto?
E’ uno stralcio di una recensione della nostra seconda autoproduzione che uscì nel 2005 con il titolo di “Processo immaginario ad un nevrotico dissociato ma non del tutto”….ma è applicabile un po’ su tutta la nostra musica.
Si riferisce al fatto che in uno stessa canzone dei PdV spesso i tempi cambiano diventando da pari a dispari, che non esiste la regola strofe + ritornello + strofa + ritornello, che i testi, spesso caratterizzati da una scrittura visionaria, sono ora ironici e surreali ora ermetici e metafisici.
Insomma noi non abbiamo regole e il nostro atto creativo non si preclude nessuna strada.
Avete un curriculum di esibizioni e riconoscimenti invidiabile culminato nella vittoria al concorso indetto dal quotidiano “Il Mattino” per aprire il concerto a Piazza Plebiscito di Pino Daniele?
Vi ritenete ancora una band”Underground” oppure avete superato questa angusta soglia? Aspettative?
La puzza dell’underground ce la portiamo dietro ma è chiaro che tante cose importanti sono successe. Non crediamo di aver già superato l’angusta soglia ma siamo su una buona strada; faticosa, piena d’insidie ma ci siamo.
Aspettative?? Fare tanti concerti e guadagnare i famosi e ignobili soldini.
Essere artisti non è mai facile soprattutto nelle nostre zone. Gli ostacoli e la diffidenza sono all’ordine del giorno. Che cosa fate nella vita comune quando non siete su un palco a proporre la vostra musica?
C’è chi studia e chi lavora in altri campi (pubblicità, sicurezza, scuola). Non siamo ancora nelle condizioni di poter fare soli i musicisti. Però ci stiamo provando…..se dovesse andarci male almeno non avremo quel senso di frustrazione che assilla chi non ci ha mai provato.
A Salerno e provincia sta nascendo una scena musicale forte con band di assoluto valore ( da’namaste, Kernel 0, Toys Orchestra, Lothlorien etc). E’ lo stesso nel napoletano? C’è una sana competizione tra le band partenopee?
La cosa sicura è che tra Napoli e provincia ci sono tante, tantissime band …… da queste parti c’è sempre stato fermento……peccato che non ci siano adeguate politiche giovanili e sociali per preservare, rafforzare e far crescere questo fermento facendolo diventare movimento di interesse nazionale. Per questo quando Aldo Campana dei Lega Leggera ha decretato la nascita del movimento lavico (per saperne di più vedete il loro space) noi ci siamo sentiti farne parte.
Conosciamo tanti artisti validi della zona. La loro frequentazione ci ha arricchiti umanamente e artisticamente. Nei PdV c’è un po’ di loro.
Un ragazzo interessato alla musica dei Pennelli di Vermeer cosa deve fare? Avete un dominio in internet? Dove può trovare il vostro ultimo cd?
Il cd de “La primavera dei sordi” lo si può acquistare a Napoli presso Feltrinelli e FNAC o nei migliori negozi di dischi; oppure è possibile acquistarlo on-line al costo di € 11,90 andando sul nostro space o su quello dell’etichetta.
In questo modo arriva fino a casa e si paga in contanti al postino all’atto della consegna.
Ecco gli indirizzi utili all’acquisto e tutto ciò concerne il gruppo: http://www.lacanzonetta.it/, http://www.ipennellidivermeer.it/, www.myspace.com/ipennellidivermeer
Perchè non ci raccontate un fatto divertente o singolare legato alla vita da musicista? Ce ne saranno tanti?
Suonammo a Sermide (MN) ad un festival dove ricevemmo il premio della critica.
Tra gli ospiti del festival c’era Mauro Pagani che ascoltò la nostra performance.
Dopo aver suonato ci catapultammo subito da lui per avere un parere e lui – nel suo stile – ci disse cosa migliorare…poi si lasciò andare come un fiume in piena su tutta una serie di riflessioni sulla scrittura paragonando l’autore di testi ad un cineasta e ci mise di mezzo anche De Andrè con cui ha avuto l’onore e il piacere di lavorare. Insomma ci stavamo godendo un Mauro Pagani quasi filosofo quando il nostro chitarrista Pasquale Palomba – pragmatico e di poco tatto – disse: “Vabbè Mauro ma ti è piaciuto si o no????”.
La cosa bella che a tutti venne da ridere per non piangere. Anche M. Pagani rise, forse con sconcerto ma rise.
Per finire domanda classica. Progetti futuri e appuntamenti imminenti per i Pennelli? Quando potremo vedervi dalle nostre parti?
Concerti, concerti e solo concerti. Dalle vostre parti speriamo presto. Anzi appena avrete occasione invitateci e noi saremo lì.
Grazie mille per la vostra gentile disponibilità. A voi le ultime parole…
Grazie a voi per averci dato la possibilità di quest’intervista e divulgare quindi il nostro progetto. Vi abbracciamo forte.

Intervista ai Levia Gravia


Levia Gravia: "La sottile leggerezza dell’essere."


Salve. Invece di iniziare con una domanda scontata su quando la band è nata etc, parliamo del vostro monicker? Dietro mi sembra di intravedere un concept ben preciso o mi sbaglio?

Monicker!?!? Ti riferisci a “Levia Gravia”? beh, è il titolo di una raccolta di Carducci, poeta peraltro non fra i nostri preferiti. È l’accostamento nel nostro lavoro di composizioni di carattere leggero ad alcune più serie o, se vuoi, la vocazione di armonizzare la leggerezza della canzone pop alle difficoltà della vita. O la leggerezza della vita con la serietà della forma canzone.


Sui vostri siti e non solo appare spessissimo un simbolo preciso ( una piuma adagiata su un’incudine). E’una rappresentazione del vostro messaggio sonoro o qualcosa di più profondo?

È una rappresentazione grafica del nome della band: la piuma, simbolo di leggerezza (Levia) e l’incudine, simbolo di concretezza (Gravia). Ma è anche l’offerta della nostra musica leggera a tutti coloro che la vogliono ascoltare, il nostro contributo.


La vostra proposta si inserisce in un genere, quello cantautorale, che sembra attraversare un periodo di rinascita dopo un lungo silenzio ( penso agli ultimi cd di Conte, Fossati, Baustelle etc.) Come vi ponete in tal senso? Ne state raccogliendo i frutti?

La rinascita della musica d’autore non crediamo sia dovuta a nomi come Conte e Fossati, che peraltro rappresentano riferimenti per noi sempre vivi (diversa è l’esperienza dei Baustelle). Né crediamo che la musica cantautorale sia mai morta. Ma trasformata senz’altro con il tempo, con lo svuotamento della politica, l’impoverimento del mercato discografico e lo sviluppo dell’home recording. Noi, dal nostro canto, da una posizione infelice, decentrata rispetto ai centri nevralgici della musica italiana (pensiamo a Roma, Bologna, Firenze, Genova, Milano), cerchiamo di seguire gli sviluppi del processo di cambiamento, adeguando il nostro istinto compositivo ai mutamenti in atto. Frutti? Per ora innaffiamo le radici e guardiamo le gemme crescere…


Credo che il “vostro cavallo di battaglia” sia il brano “ I cinque soldati”. Una canzone dal forte sapore retrò sia per quanto riguarda il testo ( mi vengono in mente i grandi cantautori degli anni 70, Guccini, De Andrè) che la musica. Siete d’accordo?

I cinque soldati della canzone (premiata nel concorso nazionale Primomaggio tutto l’anno, miglior testo) sono in realtà combattenti tribali, dell’Africa nera. Soldati che la guerra non hanno bisogno di cercarla, ma che sono costretti a combatterla ogni giorno, innanzitutto contro la stessa terra che li ha generati. L’incedere della musica vuole evocare (con loop elettronici e strumenti etnici come cuatro e bouzuki) il camminare costante e implacabile di un popolo che continua a combattere nonostante la solitudine che c’è intorno…

Parliamo del vostro primo cd. Come lo presentereste ad un pubblico poco attento come quello attuale? Quale valido argomento calereste dal cilindro? Che cosa vi aspettate dalla pubblicazione?

“Il Contributo”, questo è il nome del disco (edito dalla Otium Records di Bari, Cinico Disincanto di Roma e distribuito da Kiver in digitale e CNI nel circuito Feltirnelli) vuole appunto essere il nostro primo contributo, sincero e onesto, alla musica italiana, il nostro personale modo di vivere la musica d’autore oggi. Speriamo che ci dia la possibilità di suonare il più possibile in giro…

Discorso Salerno – concerti. Mi sembra di capire che la situazione non vi veda granché soddisfatti o mi sbaglio? Che ne pensate della folta schiera di band rock ( genere a voi antitetico) che dal nulla si stanno imponendo non solo a livello locale? Si può parlare di una scena Jazz/ Cantautorale a Salerno?

Non crediamo vi sia mai stata una scena catautorale a Salerno, né che vi sia un vero e proprio circuito “live” (forse sono rimasti solo un paio di posti dove si suona ancora dal vivo…). Esperienze isolate sbocciano qua e là ma difficilmente hanno la possibilità di esprimersi nel territorio provinciale. Maggiore fortuna ha il jazz che, basandosi per sua stessa natura sull’improvvisazione, non impone ai musicisti un lavoro complesso di strutturazione dello spettacolo live. Per la verità ci sono grandi jazzisti a Salerno, ma che probabilmente esprimono il meglio proprio al di fuori dei confini della nostra città. La situazione obbiettivamente è abbastanza nera…


Il momento migliore e quello peggiore nella storia dei Levia Gravia?

Ogni periodo difficile della nostra storia è stato superato grazie ad un evento positivo che ci ha dato nuova energia. Ora speriamo di essere alle soglie del nostro momento migliore…


Per i Levia Gravia quali sono gli artisti in campo musicale, letterario e pittorico che possono essere ritenuti degli d’attenzione per espressività soggettiva e originalità al giorno d’oggi?

In campo musicale cerchiamo di ascoltare il più possibile, dalla nuova musica d’autore italiana a quella classica (da Niccolò Fabi a Fossati, dai Fabularasa a Capossela), dalla Penguin Cafè Orchestra a Bill Frisell, le ballate di Ray La Montaigne e Alexi Murdoch, Pat Metheny, Inti Illimani, Jan Garbarek, Rene Aubry. In campo letterario ci piacciono scrittori come Ian McEwen, Javier Marias e tutta la schiera degli scrittori ebrei-canadesi, Tibor Fisher e Chuck Palahniuk. Il gap, ahimè, nella nostra cultura pittorica è in parte dovuto ancora una volta al drammatico vuoto culturale del nostro territorio…


Essere artisti non è mai facile soprattutto nelle nostre zone. Gli ostacoli e la diffidenza sono all’ordine del giorno. Che cosa fate nella vita comune quando non siete su un palco a proporre la vostra musica?

Abbiamo problemi normali, come tutti. Soltanto che poi di sera ci incontriamo, ridiamo e li suoniamo…

Grazie di cuore per la chiacchierata. Salutiamoci delineando i vostri progetti futuri e dove i nostri lettori possono contattarvi e sapere qualcosa di più sulla band…
Saremo al MEI (Meeting delle Etichette Indipendenti) a Faenza il prossimo novembre, a presentare il disco e a cercare di diventare famosissimi il più presto possibile… Altre cose le potrete sapere guardandoci su www.myspace.com/leviagravia