Franco Forte non è nuovo alla vicende intriganti e veritiere del romanzo storico. Basti pensare che nella sua lunga carriera di scrittore si è occupato nelle sue pagine di personaggi noti quali Nerone, Annibale e Gengis Khan solo per citarne alcuni.
In questo nuovo romanzo intitolato “
Il Segno dell’Untore” pubblicato come sempre da Mondadori, a partire dal 16 Gennaio, l’autore sposta la sua attenzione nella Milano del 1576 ormai invasa dalla peste bubbonica.
Facciamo un passo indietro: tra il 1400 e il 1600, la peste invade l’intera Europa.
Molti non lo sanno ma questo tipo di malattia pur colpendo tutte le classi sociali, dilaga soprattutto tra i ceti più poveri (mendicanti e sottoproletari) che incapaci di poter affrontare un’epidemia di così vaste proporzioni, vengono falcidiati come mosche.
Tra il 1576 e il 1577 la pestilenza colpisce anche il Nord Italia e in particolare Emilia Romagna e Lombardia, (Milano in primis) e verrà ribattezzata come la “Peste di San Carlo”. Il dilagare del morbo si verifica durante l'episcopato del vescovo di Milano San Carlo Borromeo. Infine “La peste di San Carlo” viene anche citata nel capitolo XXXI de “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni, come antecedente a quella, ben più grave, descritta sempre nel romanzo, e abbattutasi in Lombardia nel 1630.
È proprio questo periodo storico, il fulcro narrativo dell’opera di Franco Forte.
Le prime pagine del libro sono davvero incisive e caratterizzate da atmosfere horror: il capoluogo lombardo è ormai preda del morbo e i monatti, figure apocalittiche e crepuscolari, si aggirano per la città trasportando cadaveri inermi (in stile “Nosferatu, Il Principe della notte” di W. Herzog. Ricordate la pestilenza portata dal vampiro?) oppure puntellando con assi di legno porte e finestre di quelle case (sempre del ceto basso) ritenute focolaio della peste. Ovviamente con intere famiglie intrappolate dentro. Le urla di rabbia e di agonia di questi morti viventi rinchiusi nei loro sarcofaghi che un tempo erano case, rendono l’atmosfera davvero cupa e orrorifica.
Non solo, tra le pagine di Forte si scorgono echi del famoso romanzo di Matheson “Io sono Leggenda” (anche se ci troviamo nel ‘500, la pestilenza da sempre azzera il progresso) e di un misconosciuto film del 1974 intitolato “Marika degli Inferni” diretto dal tedesco Jos Stelling.
Non divaghiamo…
Protagonista del romanzo è Niccolò Taverna, un notaio criminale coinvolto da due casi intricati paralleli: l’omicidio di un membro dell’inquisizione spagnola, Bernardino da Savona e il furto di un candelabro (che lascerà il posto a qualcosa di ben più importante) sottratto al Duomo. Ma Taverna ha anche un altro problema di carattere personale: la sorte della cara moglie Amelia, anch’essa preda della peste che la fa sembrare quasi un’indemoniata.
Insomma la carne al fuoco è davvero tanta.
Colpiscono subito, nell’attenzione del lettore, i metodi d’indagine di Taverna che sembrano usciti da un manuale di Indagine Criminale del 1500, se n’è mai esistito uno.
Lo stesso Forte in sede d’intervista promozionale tende a precisare che
“Niccolò Taverna è l’equivalente del 1576 di un moderno commissario di polizia. I notai criminali erano i magistrati che a quel tempo, a Milano, indagavano sui casi di omicidio, sui casi criminali e sulle ruberie, e lo facevano adottando tecniche investigative sorprendentemente moderne, per quanto i loro strumenti più efficaci per trovare i colpevoli fossero l’intuito, l’istinto e l’esperienza. Ma tutto ciò che i miei personaggi fanno, è rigorosamente documentato, e quindi sorprenderà vedere quali tecniche investigative possedevano”.La rigorosa ricerca storica è di sicuro l’arma in più del libro e Forte si sbizzarrisce non solo nell’elencare i metodi d’indagine di Taverna, sicuramente curiosi, ma anche e soprattutto l’abbigliamento di armigeri e religiosi, persone comuni e nobili dell’epoca. Un affresco storico/antropologico che lascia davvero poco spazio all’immaginazione visto che l’autore con stile ricco di particolari ci tiene a presentare nel modo più completo possibile quel palcoscenico sopra il quale si muove Taverna, il suo rude e mastodontico aiutante Rinaldo e il piccolo ma attento portoghese Tadino José del Rio.
Sembra un coincidenza visto il ruolo editoriale di Franco Forte al di là della sua attività di romanziere ma “Il Segno dell’Untore” ha tutte le carte in regola per poter essere considerato oltre un Thriller storico anche un vero e proprio Giallo. Sicuramente non sarebbe stato così abnorme vederlo in edicola con una copertina adatta al formato. Almeno questa è la mia impressione…Ma Forte presumo abbia altre ambizioni, osservando sia il costo abbastanza contenuto (per un’edizione da libreria) sia la cura maniacale con la quale ha assemblato questa godibilissima e avvincente storia di indagine investigativa del passato e non solo
Sono sicuro che se ne parlerà davvero tanto tra gli amanti della lettura di genere e possibilmente in futuro anche nel mondo della fiction o del cinema, visto che il romanzo si presta bene, a mio parere, anche per questa “veste”.
Una avvincente lettura, supportata da un immaginario facilmente riconoscibile.
Consigliato.