In una mia intervista apri pista a “Il 36° Giusto”, datata 3 Giugno 2010, un po’ a sorpresa Claudio Vergnani aveva dichiarato:
“Chi ha amato “Il 18° vampiro” si è fatto un’idea tutta sua ma anche molto precisa dei personaggi ed è inevitabile che potrà non essere sempre d’accordo su come si muoveranno nel sequel. Forse si aspetterà una certa evoluzione e potrà sentirsi deluso se non troverà ciò che si attendeva. Sarà inevitabilmente più critico. E’ naturale che sia così. Come si dice, solo chi amiamo può farci davvero del male …”
Ora che abbiamo finalmente letto il suo tanto atteso sequel letterario tutto è più chiaro.
L’immobilismo paventato dall’autore emiliano non c’è stato. Anzi l’evoluzione dei personaggi, dello stile di scrittura e degli sfondi letterari c’è e si nota già dalle prime pagine.
Mettiamolo quindi bene in chiaro: “Claudio Vergnani Autore” non poteva ancora essere quello de “ Il 18° vampiro”. Troppo personale e tormentato il suo primo romanzo per poter diventare uno stampo sotto il quale forgiare delle copie (seppur belle) in serie. Del resto parliamo di una riflessione in forma narrativa sulla solitudine dell’uomo”italico” moderno, preso da ansie tutte terrene come disoccupazione, incapacità di amare (e di essere amato), incomunicabilità, vigliaccheria, egoismo e intorpidimento (artificiale e non solo) dei sensi.
In un clima di cupa depressione sociale, il vampiro è il riscatto dell’uomo medio che di fronte la mostruosità del diverso, annienta i demoni dell’anima e ritorna spavaldo, guerrafondaio e tutto sommato tronfio e stupido. Il vampiro è l’alibi del cambiamento e della ricostruzione. Del caos immanente e poi nuovamente dell’ordine
L’apocalisse “vampirica” ci aveva già dato un assaggio di storie e personaggi proiettati verso una consapevolezza diversa e inseriti in contesti che seppur riconoscibili, lasciavano spazio a sviluppi inediti.
Claudio, Vergy e i suoi amici “acchiappa mostri” sono ancora vivi. I vampiri, quelli veri secondo il “Vergnani pensiero”, hanno spazzato via il mondo come l’uragano Katrina e poi sono tornati da dove sono venuti. Dove poi? Ai vivi non è dato saperlo.
Cosa rimane dopo la loro allegra festa di morte? Tutto uguale! Non sense? Forse.
Ma è sicuramente un messaggio chiaro sul quale ragionare. Arriva la fine del mondo sottoforma di mostri assetati di sangue. È il panico, la fine di ogni regola comune e dulcis in fundo la morte dei corpi e delle convenzioni sociali. Tutto finisce. Eppure il mondo italico di Vergnani rimane quello di prima. Ancora disoccupazione, solitudine, cattiva televisione, forze dell’ordine utili come un calcio nel sedere, stravizi borghesi da una parte, inedia, squallore e disordine dall’altra.
Praticamente la nostra dimensione di vita attuale. Nessuna terra promessa. Nessuna salvezza. Schiavi dei nostri peccati fino alla fine dei giorni.
Logico che cambiando lo scenario cambia anche il grottesco che ne è parte integrante. I vampiri che infestano ormai solo le periferie abbandonate e sporche della Modena cara all’autore, non sono quelli enigmatici, violenti e oscuri delineati in precedenza. Rispecchiano invece il degrado comune e si tramutano in zombi alla Romero o meglio ancora alla Lucio Fulci. Esseri famelici e purulenti che infestano luoghi solitari e inaccessibili, per non dire degradanti. Non basta.
Vergnani riesuma antichi archetipi letterari ( e gotici) dando una botta di vita alle avventure dei suoi beniamini. Chi scrive in Italia storie di fantasmi e mostri che si annidano negli “avelli oscuri dei cimiteri”? Domanda retorica. Che coraggio!
L’invenzione letteraria e perturbante funziona, eccome! Credo che i capitoli ambientati nel cimitero monumentale di Modena siano la migliore sceneggiatura horror scritta in Italia da almeno 10 anni a questa parte. Roba che Avati potrebbe farne un film coi fiocchi se solo non fosse impegnato a far recitare uno come Ezio Greggio.
Altro archetipo riesumato dalla tomba delle idee è la casa isolata e accerchiata dai morti viventi. Ennesimo colpo di spugna del libro dove la tensione la fa da padrone ma nello stesso tempo si ha l’impressione di ritrovare vecchie sensazioni e atmosfere ormai perdute nei cinema di periferia degli anni 80.
Elemento totalmente nuovo, infuso a piene mani tra le pagine del libro è poi l’ironia grossolana ma avvincente delle battute di Vergy & Company.
Anche qui roba da film trash degli 70’ e 80’. Non aspettatevi doppi sensi sottili o ermetici. Come diceva la Gialappa’s band, commentando i testi dell’agghiacciante cantore dei mostri, Donato Mitola (perso tra vampiri e bordelli, licantropi e squillo obese) sono “tutti sensi unici”. Grasse risate insomma. Quelle che oramai cerchiamo col lanternino su You Tube, visto che anche in questo caso i tempi sono cambiati e come sempre in peggio.
Rimangono le riflessioni dell’autore su alcuni temi che gli sono stati sempre a cuore.
Le occasioni mancate, gli anni che passano lasciando vuoti incolmabili, la disperata ricerca di un amore sincero e corrisposto o in mancanza di un rapporto amoroso che sia breve ma intenso, il riscatto sociale che mai arriva, l’amata/temuta/decantata morte come la fine di ogni tormento interiore o fatica esteriore.
E poi c’è sempre il mitico Vergy, il Bukowski dell’Emilia Romagna, Claudio, l’ultimo eroe romantico e disilluso, il cinico e ingestibile Gabriele che diventa anche scrittore ( altro paradosso su cui ragionare) che sembra uscito dal film “Trainspotting” e una galleria di personaggi vecchi e nuovi tra “La Settimana bianca” di Mariano Laurenti e “Quella Villa accanto al Cimitero” di Lucio Fulci.
Tra romanticismo degli ultimi e consapevolezza assoluta del male (soprannaturale), tra spavalderia da bullo di provincia e legami forti e sinceri che vanno al di là di frasi a effetto o gesti oltremodo teatrali che tanta letteratura “alta” ci dispensa a piene mani nelle librerie sempre più vuote, “Il 36°Giusto” vince la sua scommessa più grande:
confermare il suo autore come penna ancor fresca e sincera e soprattutto avvinghiare il lettore fino all’ultima pagina. Tutto è bene quel che finisce bene.
Vergnani è qui per rimanere e narrare ancora le sue terribili (ma così comuni) storie.
E qui al Mondo di Edu abbiamo già l’idea balorda ma convinta di incoronare “Il 36° Giusto” come il romanzo del 2010. E ne abbiamo ben donde.
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