Quando si parla di romanzo gotico, di temi cimiteriali, del grottesco e del perturbante applicato sia alla narrativa che alla poesia, l’ Italia è da sempre un palcoscenico ambito ma ancora ai margini della letteratura che conta.
Gli esempi sono numerosi. La Poesia Romantica di metà Ottocento vedrà come protagonisti, acclamati autori inglesi come Thomas Grey, Robert Blair ed Edward Young, mentre nella nostra penisola passeranno del tutto inosservati veri e propri “cantori della morte” come Ippolito Pindemonte, Giuseppe Luigi Pellegrini, Bernardo Laviosa, Andrea Rubbi e soprattutto Ambrogio Viale. Quest’ultimo merita una citazione a parte in quanto, distaccandosi dai temi cimiteriali e melanconici delineati dai suoi contemporanei, si immergerà totalmente nella solitudine delle Alpi, componendo in loco strane poesie dal tocco orrorifico e allucinato. Nel poema intitolato “Erminda”, egli immaginerà che dei cadaveri abbandonati (e ormai dimenticati) nel fondo di una rupe si animino improvvisamente e si uniscano fino a formare un essere orrendo, simbolo gigantesco, osceno e miserabile della caducità delle cose terrene. Zombi ante litteram? Un Prometeo/Frankenstein delle valli pronto a mostrarci che gli angusti limiti dell’esistenza umana possono essere superati? Possibile. Del resto il tema dei “risorgenti” è da sempre caro agli autori italici (da Plinio Il Giovane in poi c’è una casistica “gotica” immensa..) molto prima che la “tanto gentile e tanto onesta pare…” Mary Shelley venisse a farsi una passeggiata (e una vacanza) presso Villa Diodati, scrivendo nel tempo libero quel “Frankenstein” più citato che letto, come ben sottolinea Carlo Bordoni nella sua introduzione al romanzo “Tecniche di Resurrezione” di Gianfranco Manfredi, edito da Gargoyle.
Insomma il tema della vita dopo la morte non spetta solo al famoso romanzo dell’annoiata scrittrice inglese ma a una gamma di autori della nostra penisola, accomunati da un’accentuata sensibilità verso cose morbose e proibite. Questo preambolo (molto personale sia chiaro) per dire che lo splendido libro di Manfredi non è solo diretto debitore del romanzo gotico, creato nei primi anni del Novecento, ma continua una tradizione narrativa e poetica, radicata precipuamente nella nostra tradizione e nella nostra cultura.
I protagonisti di "Tecniche di Resurrezione" sono nuovamente i gemelli de Valmont (due scienziati, lui medico, lei ricercatrice) che dopo essersi confrontati con un singolare caso di vampirismo nel New England (vedi il libro “Ho freddo”, edito sempre da Gargoyle nel 2008), decidono di dividere le loro strade.
Valcour si trasferisce a Londra, Aline a Parigi. Entrambi dovranno ancora confrontarsi con ulteriori incubi scaturiti non solo dalla mente umana ma anche da terribili forme di sperimentazione applicate attraverso l’ipnotismo (quel mesmerismo di cui già ci aveva parlato quel geniale ubriacone di Poe).
Manfredi è un vero e proprio viaggiatore nel tempo. Leggendo i suoi capitoli si ha come l’impressione (sorprendente ed estraniante al tempo stesso) di trovarci davanti ad un testo scritto “autenticamente” nel periodo di cui si parla nel romanzo. Hugo, Stevenson, Balzac potrebbero essere dei contemporanei di Manfredi “senza colpo ferire”. Lo stile di scrittura è genuinamente gotico e soprattutto “popolare”. Si vede che alle spalle c’è un lavoro certosino di ricerca non solo storica ma anche stilistica.
La trama, che si dipana attraverso due casi misteriosi ma poi intimamente collegati, (le provocazioni e gli omicidi del fantomatico Doctor Ending - tra Fantomas e Jack lo squartatore - da una parte, e un caso di mummificazione legato agli esperimenti sull’ipnotismo, dall’altra), non lascia spazio a tempi morti. Scordatevi il Manfredi, sceneggiatore Bonelli per Magico Vento e Volto Nascosto. Qui si va ben oltre. La caratterizzazione dei personaggi (e credetemi ce ne sono tantissimi…) è tra le cose migliori mai lette in Italia e non solo. Anche quelli secondari (lo scimmione Quinn, Lord Grenville, l’attore fallito Francis e così via) sono “dipinti” con polso fermo e con una dose di realismo fuori dall’ordinario. Nell’affresco totale e totalizzante di Manfredi, tutti i personaggi sono protagonisti alla pari, come attori che recitano sul palcoscenico di un immenso teatro.
E se dobbiamo parlare di palchi e di spettacoli come non citare il Dottor Giovanni Aldini, oscuro ed enigmatico personaggio, vissuto nella seconda metà del XIX secolo.
Aldini è il VERO Dottor Frankenstein. Colui che ha applicato il galvanismo (la somministrazione di scariche elettriche) alle cure mediche di persone con disturbi mentali. I suoi esperimenti, oltre che valore scientifico, hanno soprattutto valore letterario.
Nell’immaginario dell’epoca deve essere sembrato, agli occhi dei suoi tanti seguaci e spettatori, una sorta di moderno Asclepio (signore di Paian e guaritore fu fulminato da Zeus per aver riportato in vita troppe persone, arrogandosi un diritto che non poteva avere). Aldini è il topos primordiale che ha creato il gotico letterario dello "scienziato che sfida la morte", archetipo che poi è imperversato nella narrativa moderna. Su questo non deve esserci alcun dubbio. Bravissimo Manfredi ad aver posto l’accento su questo dettaglio di non poco conto. Concludendo il tutto, senza le visioni di Ambrogio Viale e gli esperimenti di Giovanni Aldini, quanto “gotico” ci sarebbe stato nel libro di Shelley e in seguito nella tradizione romantico/fantastica del Novecento? Sicuramente ben poco.
Manfredi si ritaglia uno spazio tutto suo in questa significativa tradizione e poetica, costruendo un romanzo dove generi come il Giallo (serial killer, omicidi, indagini), il Mystery (l’epidermica descrizione del Mistero in varie sue forme ) e l’Horror (venato di gotico come già affermato in precedenza), si fondono con un’efficacia che farà impallidire chiunque voglia cimentarsi con il romanzo “di genere” da ora in poi.
“Tecniche di resurrezione” è IL ROMANZO, che continua alla grande la tradizione del gotico letterario in Italia. Un punto fermo sul quale non si può e non si deve discutere. Un altro mattone è stata appoggiato su quel castello, diroccato e ombroso che si erge a Otranto (in ITALIA!).
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