Lucio Auciello è uno che ha le idee chiare e una passione smodata per la musica.
Chiunque, al posto suo, avrebbe gettato la spugna già da un pezzo dedicandosi ad altri campi dello scibile umano.
Non è il caso di Lucio.
Un sorta di “Eroe del Rock” ai confini conosciuti del genere.
E quando parlo di confini intendo, al di fuori di facili catalogazioni, compromessi e scene che nascono e muoiono nel giro di un’estate.
Non è da tutti ritrovarsi da solo con il progetto della vita sulle proprie spalle e decidere di continuare.
“Come le foglie” mini Lp ( perché per il sottoscritto si tratta di un’uscita di “altri tempi” ci arriveremo…) dei Lothlórien targati 2009, è la forza di volontà, la convinzione, la visione di un solo uomo al timone.
E si candida come la pubblicazione più personale del cantautore salernitano
Una one man band col desiderio di affermare la propria identità di rivalsa e di sopravvivenza.
“Lothlórien” pezzo di apertura dell’album è in tal caso una dichiarazione di intenti.
L’autore si rivolge al suo pubblico invitandolo a “capire” (quasi ad afferrare materialmente) la musica (la sua).
Un grido altissimo che nasce dalla frustrazione, dalla non identità, dalla forza delle idee in un mondo che non vede, che non sente.
Lucio, crea il suo messaggio nel modo più eloquente possibile: irrobustendo il suono delle chitarre, batteria in evidenza e rendendo i pezzi delle piccole suite, ricche di influenze antitetiche. Non c’è spazio per ascolti facili, per disimpegno e superficialità.
L’attenzione dell’ascoltatore deve sempre essere alta ( come la voce di Lucio nell’album).
Parlavamo di identità: urlare uguale esistere.
Tipica metafora moderna. E come tale è il suo abbandono al cantautorato classico ( e diretto) del precedente “Lothlórien
2006”).
Lo si evidenzia con la nuova versione di “Come le foglie”.
Più corposa, immediata e urgente.
Il messaggio malinconico del testo è intatto ma la musica lo interpreta con rinnovato vigore.
Come se non fosse stato detto tutto e allora si usano altri espedienti per attualizzare vecchie idee che poi vecchie non sono.
Lo strumentale “Attraverso il deserto” è una suite di Prog Rock con punte di classicismo e un pizzico di Gothic Metal.
Leggete il titolo, tornate alla mia riflessione in apertura della recensione e capirete che dietro alla musica variegata del pezzo c’è sempre l’idea di partenza.
“Sul dorso della tigre” è il pezzo più anacronistico dell’album e come tale il vero capolavoro (parlavamo di album di altri tempi no?).
Metal, Grunge, Post Rock e Prog tutto insieme per parlare di un mondo che è lontano dall’idillio ( quasi bucolico) che i Lothlórien delineano nelle loro canzoni.
Quindi è un abbandono anche di certi temi cari ai lavori precedenti.
“L’altro in me” è ancora il disagio dell’artista e il suo desiderio di esistere.
Lucio sembra parlare al suo altro Io (quello da cui nasce l’arte in ogni sua forma) invitandolo a non essere ombra.
Ma a trovare il modo di uscire dal cantuccio interno e nascosto e irradiare il mondo.
Il pezzo abbraccia il Prog italiano anni 70 e lo attualizza ai giorni nostri con bordate elettriche e drammatiche.
La malinconia tipica della band è comunque intatta.
“Il Cerchio del tempo” è degna conclusione della personalizzazione del progetto Lothlórien
Si parte dai Maiden fino ad arrivare ai Pink Floyd e in mezzo tutto il vigore e l’entusiasmo di un nuovo inizio.
Come i titoli di coda di un bel film che è appena finito ma con la consapevolezza e il trasporto che ben presto quella storia avrà un seguito.
E noi lo attendiamo…
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