venerdì 10 dicembre 2010

ANDREA G. COLOMBO – IL DIACONO (GARGOYLE BOOKS – 2010)

Scrive Edoardo Rosati, nella prefazione al saggio “L’Esorcista, il cinema, il mito”:

Concentriamoci su un semplice dato fatto che vogliamo esprimere con un linguaggio “basico”. Ma tant’è: L’Esorcista è un film che fa paura ( e continuerà a farla negli anniversari a venire)…una poetica da cui emerge la precisa volontà di narrare eventi inesplicabili con l’inchiostro del realismo. E il risultato è un trionfale e disturbante rappresentazione del dubbio

Il dubbio del male (che pian piano diventa terribile certezza) è alla base del romanzo “Il Diacono”, scritto dall’autore meneghino Andrea G. Colombo.
Avevo già parlato di Colombo nell’Antologia Epix Mondadori intitolata “Bad Prisma”, dove avevo riscontrato la sua singolare capacità di costruire storie “cinematografiche”, direttamente ispirate dalla visione dei grandi film di genere.
“Il Diacono” mantiene questa componente a effetto dal punto di vista stilistico ma a livello tematico può essere considerato come il primo romanzo horror italiano che affronta da vicino non apparizioni metafisiche di “jameseniana” memoria, o mostri dell’inconscio tratti dal Gotico letterario, ma una forma di orrore legata a temi religiosi.
Ci vuole davvero tanto coraggio a tirare in ballo in un romanzo di fantasia, asfissianti gerarchie ecclesiastiche, dubbi di fede, tormenti scaturiti dalla visione del maligno e soprattutto le gesta di un’esorcista moderno ( Il Diacono) alle prese con il male con la M maiuscola.
In Italia sembrava un argomento ancora tabù, punto.
Il Diavolo come figura religiosa (quindi tentatrice, infida, repellente, destabilizzante, quasi iconico/medievale) possiamo ritrovarla in certe raffigurazioni musicali del Black Metal e in generale di “certo“ Horror Rock” scioccante e nerissimo.
Nel cinema, come ci hanno raccontato Danilo Arona e Daniela Catelli, nel saggio sopra menzionato, c’è il “maledetto” film di W. Friedkin, figlio diretto di un’epoca poco illuminata e altamente negativa. Poi ci sarebbero i fatti di cronaca nera, i casi di possessione, ma finiremmo in una dimensione antitetica e pericolosa quindi non allontaniamoci troppo dalla strada maestra.
Dicevamo: la figura dell’esorcista. Qualcosa di simile l’aveva creata qualche tempo fa, il bravo Valerio Evangelisti con il ciclo di Eymerich, incentrato sempre sulla figura di un religioso (un inquisitore domenicano realmente esistito) in lotta con forze oscure e misteriose (se non propriamente sataniche). Una sorta di romanzo storico con ambizioni orrorifiche e science fiction. Ma se il “metafisico diabolico” di Evangelisti è diretta conseguenza di un’epoca terribile, ammantata di presagi e maledizioni (il Medioevo), Colombo trasporta tutto il campionario “mitologico” della lotta tra il bene e il male nel nuovo millennio con sfumature ancor più violente e apocalittiche. Del resto un autore come Danilo Arona ci ha già abituato all’incontro/scontro tra forze demoniache (la sua cara Melissa, il suo ambiguo Pazuzu) implacabili e il duro vissuto quotidiano tra mortificazioni della carne e dello spirito, tra decadenza e perversione. Che cosa ha di più Colombo rispetto agli esempi finora elencati? La convinzione.
Colombo crede davvero nel Male soprannaturale. E lo delinea dal punto di vista di chi ha sviluppato nel tempo una spiritualità religiosa.
Quello che fa davvero paura del suo libro non sono le figure mostruose, le visioni infernali, i tormenti delle vittime degli esorcismi, il dubbio della possessione, l’interrogativo sull’esistenza del diavolo.
Questi temi li conosciamo troppo bene.
Friedkin, Milingo Amott, Studio Aperto, la demonizzazione del rock nel primo pomeriggio, sono figure entrate oramai prepotentemente nell’immaginario comune del fruitore televisivo medio. Ci è stato insegnato(?) in un certo senso che il Male (quello personificato e iconico) forse si annida nel grigiore comune. Forse…
Quello che davvero terrorizza nel romanzo dell’autore meneghino è l’atmosfera. L’humus narrativo dove il diavolo cresce e si nutre. Un mondo vuoto, inutile, sofferente, tremendamente biblico.
L’apocalisse di Giovanni secondo un sentire personale legato al cinema di genere?
Possibile, probabile.
Arona è quasi laico nel delineare il male ( antagonisti non ve ne sono MAI).
Colombo no! Ha una visione ancora medievale dell’eterna lotta ed è questa la cosa mostruosa, innaturale, in questi tempi così laici e distaccati.
Avere una visione così profondamente cristiana (scommetto che l’autore è credente oppure ha in famiglia dei religiosi veri) nel delineare la caduta della Chiesa ( il tutto ambientato in un Vaticano distrutto, spolpato, massacrato) con una precisione e una rigorosità che mi fanno quasi sospettare.
Non fatevi forviare nella lettura del romanzo, da un personaggio vestito di bianco, in cima alla gerarchia ecclesiastica, che cade preda delle tentazione del maligno.
È solo la metafora dei nostri tempi instabili e antireligiosi. In realtà nell’universo letterario di Colombo tra uccisioni, zombi, possessioni, demoni della terra, attentati ed esplosioni c’è il chiaro intento di glorificare il bene. Punto. Il bene vince, il male muore. Il caos immane e violento degli eventi serve solo a ristabilire le regole già prestabilite da secoli e a renderle più forti e assoggettanti.
Ripeto: Il Diacono, figura teologico/horror/letteraria (non l’ho detto io…) è un romanzo che fa paura nel suo impianto generale, perché racconta una storia vecchia di secoli. Quella che un certo Giovanni intitolò “Apocalisse”.
L’Apocalisse della Chiesa Cattolica è più horror di qualsiasi libro, film, o musica sarà mai creata su questa terra.
Bravo (e anche furbo se l’autore me lo permette…) Colombo ad aver sfruttato le suggestioni e le paure ancestrali dell’ Antagonista e del Giorno del Giudizio ( loro sono da sempre i veri babau dell’uomo comune, altro che fantasmi e vampiri…) e aver creato un romanzo solido, ansiogeno, cupo e escatologico.
Una lenta marcia verso gli ultimi giorni dell’uomo e delle sue più intime convinzioni.
Quale sarà il risultato? A voi la lettura…

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