Enjoy it!
Salve Andrea, Partiamo subito con una domanda diretta. Il Diacono è un romanzo sul dubbio del male, o sulla certezza del bene?
Se c’è una cosa di cui sono sicuro, è che il bene così come siamo soliti definirlo, è un’invenzione dell’uomo. Forse è una conquista a cui tendere, un’utopia. Ma è tutto fuorché una certezza. E funziona solo in condizioni di tempo e spazio limitatissime. L’uomo, è tendenzialmente autodistruttivo. Passano i secoli, ma la solfa non cambia.
Il Diacono, quindi, è un romanzo sul dubbio. Sulla difficoltà di definire cosa sia bene e cosa sia male, chi siano i buoni e chi i cattivi, sull’impossibilità di comprendere la realtà che ci circonda visto che il nostro punto di vista è per definizione limitato e di parte. E’ una corsa disperata e inarrestabile verso il baratro della distruzione finale. A tratti, ci sono barlumi di speranza. Ma l’esito è chiaro. Siamo condannati. Resta da capire come ci comporteremo nel momento in cui saremo chiamati a fare una scelta: sarà in quel momento, quando tutto sarà perduto e il tempo sarà giunto al termine, che potremo chiarire a noi stessi se siamo bestie o esseri umani.
Il protagonista del tuo romanzo è un religioso in lotta contro forze antiche e diaboliche. Durante la lavorazione di un tema tanto scomodo e oltremodo impressionante, hai sentito il peso di quello che stavi creando?
Mentirei se ti dicessi di no. Non è stato semplice avere in testa per un periodo tanto lungo personaggi e atmosfere di questo tipo. Ma del resto, se vuoi convincere il tuo lettore che quello che stai raccontando è vero (almeno per tutta la durata del romanzo) devi essere il primo a metterti in gioco. Il rischio, tuttavia, è che inizi a percorrere una strada che non hai idea di dove possa condurre. E’ incredibile la quantità di collegamenti, coincidenze, evidenze sinistre che trovi mentre raccogli informazioni. Anche a essere scettici e pragmatici, alcune cose ti lasciano interdetto. Ma non ne parlo volentieri, perché a farlo dai l’impressione di essere fuori di testa. E poi le voci che tamburano in testa dicono che è meglio che io resti in silenzio. Io ascolto le voci. Lo faccio sempre.
Come ho già stigmatizzato nella recensione quello che più mi ha affascinato del tuo romanzo è la convinzione col quale ti sei occupato di un argomento scomodo come la Chiesa & il Diavolo. Credo che tu sia il prima in assoluto in Italia a creare un’opera del genere. Ne sei orgoglioso o temi la scure della censura?
40/50 anni fa, questo romanzo non sarebbe mai stato pubblicato nel nostro paese, poco ma sicuro. Il problema, in Italia, sussiste. Oggi non è tanto il timore dell’ingerenza diretta del Vaticano, perché con gli anni si sono fatti furbi e hanno capito che al di sotto di un certo “limite”, conviene loro tacere per non fare accendere i riflettori. Quindi a meno che qualcuno non mi aspetti sotto casa con un furgone nero, posso dormire sonni tranquilli da quel punto di vista.
Il mio timore maggiore era semmai la censura preventiva, quella che in Italia colpisce chi parla di certi argomenti: a monte, un editore, un direttore editoriale, un politico, possono avere da ridire, e ti tappano la bocca solo per il timore di andare a infastidire chi è meglio lasciare tranquillo. E penso tu sappia di chi parlo. Sono convinto che il mio romanzo non sarebbe mai stato pubblicato così com’era da molti degli editori italiani, per questo sono grato a Paolo De Crescenzo e alla Gargoyle, perché non mi è stato chiesto di tagliare o cambiare una sola riga che facesse riferimento a questioni legate alla religione o alla Chiesa. Nonostante questo, ammetto che mentre scrivevo, mi ponevo di continuo il problema: “Ma questa cosa me la lasceranno davvero scrivere?” Lo vedi come siamo condizionati?
L’unica “attenzione” è stata nei confronti della persona che mi ha fatto da guida nel mio sopralluogo romano. Mi è stato chiesto di levare il suo nome nei ringraziamenti, per evitare anche solo l’ipotesi di un qualche problema. E’ anche vero che credo che le probabilità che il mio romanzo capiti in mano a chi potrebbe risentirsi siano minime. Non ce lo vedo un Monsignore spulciare lo scaffale HORROR alla Feltrinelli di turno…
Scrive Fratello Metallo nel mio/nostro saggio Horror Rock, La Musica delle tenebre: “Il Diavolo vero non è stupido brutto e cattivo… bensì iperbellissimo ma paranoico e dividente”. Il Diavolo presente nel tuo romanzo com’è invece?
Esattamente così e mi fa piacere che sia stato proprio un frate a dirlo. Fratello Metallo è un francescano e loro la sanno lunga sull’argomento. Ho cercato di descrivere mostruosità demoniache assai scaltre, reattive e calcolatrici. La mia Divoratrice di anime fa della bellezza l’arma per scardinare le difese degli esseri umani, e vedendo come agisce, il suo motto potrebbe proprio essere “Divide et impera”.
Mi piace particolarmente la paranoia nella definizione di fratello Metallo. Mi dà l’idea del tormento che il diavolo sopporta, il suo continuo macchinare, escogitare trucchi, il suo bisogno di essere un passo avanti al Bene e il suo timore di essere sconfitto. La paranoia del Diavolo è forse la sua più grande debolezza.
Quali sono stati i tuoi parametri artistici e letterari nella creazione del romanzo, al di là della prevedibile citazione del film di Friedkin?
E’ una domanda difficile, perché dovrei razionalizzare un processo che invece non ho ancora razionalizzato fino in fondo, che per il momento resta in gran parte puro istinto, suggestione emotiva e incosciente. Potrei risponderti, salomonicamente, che tutto quello che ho visto e letto, in qualche modo mi ha guidato, perché la mente umana è una spugna che assorbe sostanze diverse in tempi differenti, ma quando viene strizzata restituisce un succo distillato che è la sintesi di ogni cosa tu hai immagazzinato.
Quello che ho cercato di fare, è stato di non lasciare che la mia creatività fosse imbrigliata da ciò che pensavo che il lettore si sarebbe aspettato da un libro simile. E di divertirmi un sacco. Scrivere un romanzo è un’impresa titanica, ma dannatamente divertente. Se poi lo scrivi come ho voluto farlo io, con la tavoletta dell’acceleratore sempre pigiata al massimo, allora è un vero e proprio spasso.
In una recente intervista hai dichiarato di aver visitato il Vaticano e fatto ricerche molto particolari. Ci racconti qualche aneddoto significativo?
Visto che la maggior parte dell’azione si svolge a Roma, e io vivo a Milano, sebbene abbia visitato diverse volte la Città Eterna (ai tempi dell’università), prima di tuffarmici di nuovo sono tornato per prendere alcune decisioni e respirare l’aria della città, le sue atmosfere. Ho cercato alcuni percorsi, alcuni luoghi suggestivi.
La visita in Vaticano è stata un’esperienza memorabile, anche se non sono riuscito a entrare in ogni luogo che mi ero ripromesso di visitare. In effetti avevo aspettative esagerate. C’erano un sacco di Gendarmi in giro, a ogni passo c’era qualcuno che ti fermava, ti chiedeva di mostrare il pass e ti squadrava come se fossi lì con un AK47 in mano. Le forze di sicurezza erano una presenza costante e pressante, ed è stato quello a darmi molti spunti. Carabinieri in piazza San Pietro, Guardie Svizzere in basilica, Gendarmi ovunque sul territorio del Vaticano. Quando sono arrivato ai Giardini Vaticani, in cima al colle, restava poco tempo, perché – mi dissero – il Papa fa una passeggiata ogni giorno alle 15 in punto. I giardini vengono quindi svuotati, prima dell’arrivo del Pontefice, nessuno deve rimanere a parte le forze di sicurezza e il suo aiutante personale. Anche i giardinieri se ne devono andare, quindi cercano di sistemare tutto di corsa perché tutto sia in perfetto stato. Non c’è una singola foglia fuori posto, credimi. E’ stato molto “intenso”: era come se stesse per accadere qualcosa, c’era una strana elettricità nell’aria. Quell’atmosfera di attesa mi è rimasta appiccicata addosso e mi sono reso conto, solo in seguito, di averla trasformata nel romanzo in qualcosa di molto più… oscuro.
Nella recensione a Il Diacono ho ipotizzato una tuo espressa coinvolgimento con la spiritualità religiosa. Sei davvero credente?
Se così fosse, saprei di finire all’Inferno perché ho in effetti scritto cose non proprio ortodosse, diverse delle quali credo rasentino la blasfemia. Ci sarebbe da fare un discorso troppo lungo su Chiesa e religione, e non penso di avere i numeri per farlo. Mi limito quindi a dire che nell’attuale sistema di riferimento religioso, mi riconosco davvero poco.
Visto che sei stato uno tra i primi ad occuparsi di Horror in Italia col sito Horror.it e non solo, la domanda è d’obbligo. Com’è lo stato di salute dell’Horror (letterario, cinematografico, fumettistico) nel Bel Paese? Dipende quale punto di vista adotti. Se osservi l’ambiente dal punto di vista delle energie creative, è in buona salute, frizzante e pieno di stimoli. Molti ragazzi si avvicinano alla scrittura, al fumetto, al cinema, con tanta voglia di fare. Se guardi invece l’impatto che tali energie producono, allora risulta evidente quanto ancora ci sia da fare. Se dieci, quindici anni fa non c’era nemmeno la possibilità di definire una scena horror italiana, oggi questo è possibile farlo (con annessi, connessi e difetti), ma non c’è ancora la massa critica sufficiente in termini di pubblico. E il problema è che se non smuovi un numero consistente di persone, resti ai margini: questo significa non vedere film horror di giovani registi italiani prodotti in Italia, oppure romanzi horror snobbati dai grandi gruppi editoriali.
Vedi, i “geni del marketing” che tengono sotto scacco questo paese, sono il vero problema. Non capiscono niente di qualsiasi argomento, conoscono un solo metodo, i numeri, che applicano meccanicamente in qualsiasi contesto. Per questo io vedo il mercato come un grosso ragazzone scemo, lento di comprendonio e potenzialmente pericoloso. Uno di quei tizi che ti prendono di mira il primo giorno di scuola. Puoi passare il tuo tempo a spiegargli e rispiegargli le cose, ma continuerà a romperti le palle. L’unica cosa che funziona, con tizi come questo, è portarlo nel cortile dietro la scuola e riempirlo di botte, con ogni mezzo possibile.
Se al mercato non mostri i muscoli, nemmeno ti sta ad ascoltare.
Lo ripeto da troppo tempo, e ormai la cosa annoia anche me: non serve continuare a sgolarsi urlando ai quattro venti che l’horror è un genere degno come tanti altri, che è stupido avere dei preconcetti e altre sacrosante verità come questa, se poi quando esce un nuovo film horror, la gente non va in massa a vederlo. Sì, sì, lo so… andare al cinema costa, e se poi è una bufala ecc ecc.. Ma il ragazzone è stupido, e capisce solo una cosa: muscoli. Se non gli mostri i muscoli, continuerà a prenderti a sberle. E i nostri muscoli non sono solo bei film o bei libri, ma sono i numeri.
Ripensa a quello che accadde per Dylan Dog, fumetto inizialmente considerato osceno, quasi gli edicolanti si vergognavano a tenerlo, poi è divenuto addirittura sponsor ufficiale per ogni campagne sociale possibile e immaginabile. Era un vero affare, quindi a nessuno è più fregato nulla di cosa trattasse, e anzi, la stampa, quella con la S maiuscola, ha iniziato a studiare il fenomeno. Ne hanno preso atto, perché non potevano farne a meno.
Muscoli. Capiscono solo questo.
Infine una curiosità: Il Diacono avrà un seguito? Il finale del libro sembra prevederlo… Ci sono ancora molte cose da raccontare e il capitolo finale è ben lungi dall’essere stato scritto. Ho in mente la sequenza che dovrà chiudere la storia del Diacono, ce l’ho stampata in testa da un sacco di tempo. Ma per arrivare fino a lì, occorre fare alcune tappe. La strada è tutta in salita. In un mercato come l’attuale, meglio andarci coi piedi di piombo e progettare solo romanzi che siano godibili anche singolarmente, quindi le cose si complicano un po’… Ma niente accade per caso, quindi staremo a vedere cosa accadrà. Per il momento mi sto baloccando con il secondo volume. Ho in mente una storia e sto cercando di smontarla per vedere se regge. Ti terrò informato.
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