“Il morso sul collo” di Simon Raven, pubblicato dalla stessa Gargoyle Books nel 2009, poteva essere tranquillamente considerato come un romanzo sul vampirismo tout court.
Non solo quello legato a elementi gotici e perturbanti (l’accoppiamento illecito e mostruoso con la donna vampiro è un classico topos del genere da “Carmilla” in poi) ma anche ad un senso di libertà pura e allo stesso tempo di distruzione delle asfissianti sovrastrutture della società moderna (famiglia, carriera, lavoro, gerarchie), tema questo che rendeva il lavoro di Raven un “unicum” della letteratura vampirica.
Riccardo D’Anna, proponendosi di riprendere alcuni personaggi e invenzioni di quelle vicende correva sicuramente il rischio di fallire visto che l’humus culturale e/o filosofico in cui è nato il romanzo di Raven (parliamo degli anni ’60, ricettacolo di ogni forma di demolizione dei dogmi comuni legati soprattutto alla sessualità e alla religione) non poteva essere riproposto in toto senza risultare artefatto o stucchevole.
Bene quindi ha fatto l’autore romano a inserire in questo “La Figura di Cera” delle peculiarità proprie della sua formazione culturale ma anche della sua passione per determinati ambiti della letteratura ad ampio raggio. Il risultato è che il romanzo “La Figura di Cera” può essere senza indugio premiato come un lavoro autonomo e dalla salde fondamenta, senza andare a minare quella fiducia che il lettore di Raven potrebbe fargli mancare in qualsiasi momento.
Fatta questa doverosa premessa devo dire che gli amanti del gotico letterario avranno sicuramente di che deliziarsi. Seppur l’impianto generale non è prettamente orrorifico (e nemmeno quello di Raven lo era…) la storia viaggia spedita tra misteri e suicidi, atmosfere lugubri (c’è anche una Venezia spettrale e nebbiosa nel libro) e ricerca spasmodica di incanalare il male nella razionalità dell’indagine, tipica di certa letteratura sul paranormale.
Davvero affascinante, almeno per il sottoscritto la trovata del simulacro di cera, doppio etereo e maligno della protagonista vampirica (?) nelle fitte pagine di D’Anna. C’è sicuramente qualcosa di esoterico e di ombroso nella descrizioni dell’esistenza “sopra le righe” della Marchesa d’Ateleta per non parlare dei cosiddetti “fatti berlinesi” che avranno un effetto dirompente nell’economia del romanzo.
Mi preme subito mettere a confronto la Criseide di Raven con la protagonista della “Figura di Cera”. Se per la prima avevo parlato, tempo orsono, di modernizzazione dell’archetipo del vampiro (seppur in un contesto singolare ma anche tradizionale – vedi “Il Vampiro” di Polidori - come quello delle soleggiate isole della Grecia, Creta e Corinto) attraverso una rielaborazione del contesto nel quale opera, con D’Anna e la sua fantomatica Marchesa, il vampiro si riappropria delle sue parvenze più funeste e distruttive. Non c’è condivisione di destini tra l’umano e il grottesco. Davanti al secondo il primo inevitabilmente trova la sua disfatta. Una concezione antica del perturbante e per questo sublime. Una Persefone, schiava dei suoi infernali connubi.
Insomma il lettore si troverà di fronte a un lavoro colto ma essenziale, gotico ma attento ai dettagli e alla citazioni (storiche e letterarie), complesso ma dall’incedere sicuro e soprattutto tradizionale.
E gli amanti dei personaggi del romanzo di Simon Raven, ritroveranno i loro beniamini con peculiarità e caratteristiche quantomeno inedite.
Davvero una lettura stimolante.
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