“Ecco: è l'ora della notte più stregata, quando sbadigliano i sepolcri sui sagrati e l'inferno esala i suoi miasmi su questo mondo. Potrei bere, ora, sangue caldo e compiere atti così crudeli, da farne tremare il giorno, alla vista"
No, non è il prode Claudio Vergnani ad aver scritto queste righe, immaginando gli intenti efferati di un non-morto nell’atto di ridestarsi dalla tomba. Parliamo invece del Bardo di Stratford-Upon. Avon: quel William Shakespeare che oltre cinque secoli prima aveva parlato nei suoi scritti di strane apparizioni e fantasmi, orribili delitti e struggenti pensieri di morte col suo capolavoro assoluto, l’”Amleto”.
Leggendo con avida ingordigia il terzo e ultimo capitolo della trilogia vampirica dell’autore emiliano (pubblicata come sempre da Gargoyle Books), “L’Ora più buia”, ho avvertito da subito, prepotente e totalizzante, una visione “classico/letteraria” applicata non a tutti i suoi sbandati cacciatori di vampiri ma solo a due in particolar modo: Claudio e Gabriele.
Claudio, alter ego narrativo del Vergnani/scrittore è il personaggio più “amletico” del libro. Tormentato, folle, sensibile, colto, fatalmente innamorato del nulla, alla ricerca di una morte che lo assolva dal vuoto della sua esistenza, è sempre alla ricerca della citazione giusta come a dipingere poesia e sogno là dove c’è solo morte, sofferenza e nichilismo. Claudio è un personaggio genuinamente classico. Il tormento della sua anima è ben inquadrabile dal lettore medio e crea una trama nella trama, dove i suoi desideri inappagati e le sue vicende personali così lampanti e comuni in un periodo di forte sbandamento dei valori e delle idee, crea un’empatia totale che da sempre è l’arma in più della narrativa “vergniana”
Gabriele: è lo scrittore che narra le sue stesse avventure, aggiungendo elementi barocchi e fantasiosi, propri della sua sensibilità visionaria e in un certo senso egocentrica. Questo è un espediente che può essere individuato nella grande tradizione del gotico letterario. Autori come Bierce e Hodgson ad esempio, hanno prima combattuto le ombre informi della propria sete di avventura per poi esorcizzarle in storie dal taglio paranormale e orrorifico. Gabriele è Claudio Vergnani che si sdoppia e che cerca di narrare da un punto di vista trasversale le sue avventure a contatto col mistero, immaginando un sentire diverso dal mondo struggente e sofferto del Claudio letterario.
“L’Ora più buia” è poi ricchissimo di citazioni letterarie, di rimandi a libri e film noti e meno noti. Una goduria per il lettore sempre alla ricerca di stimoli nuovi.
Ma non vorrei forviare i tanti fan dell’autore di Modena. Volete Vergy, sempre cinico, violento e dalla battuta maleducata e divertente? Lo avrete! Volete un immaginario horror oscuro e catacombale, decodificato dalle tante opere in tema di Vampiri? Non state in pena: lo avrete! Anzi visto che già ci siamo e abbiamo parlato di “classicismo” rispolverate anche “Il Vampiro” di Polidori. Vedrete che vi sarà molto, molto utile.
Dove eravamo rimasti con la trama? Il famoso terzetto di ammazza vampiri italici (Claudio, Vergy e Gabriele) era approdato nella antipatica e piovosa capitale parigina, come al solito a caccia di non morti a pagamento. Ma gli eroi di Vergnani saranno anche prosaicamente umani nei loro bisogni materiali ma non sono assolutamente degli egoisti senza cuore.
Dopo un’attenta meditazione decidono di tornare in Italia alla ricerca di un’amica che per poco tempo ha mostrato rispetto e affetto per le loro sorti. Non tutto è perduto. La ricerca di Alicia è metafora di un rinnovato interesse per la vita e i suoi irti ostacoli, altrimenti lo spettro del suicidio sarebbe davvero dietro l’angolo (e Vergnani affronterà anche questo nel libro, come a voler chiudere un cerchio personale e non con i suoi figli letterari. Ci arriveremo…).
Nuove avventure attendono i nostri tra cimiteri e catacombe, periferie desolate tra povertà e vampiri e feste degne del jet set più ignorante e tristemente attuale.
In quest’ultima parte del libro, appena indicata, segnalo le pagine più incisive e horror che lo scrittore emiliano abbia mia scritto.
Senza svelare troppo, Vergnani si inventerà una marcia sanguinaria e violenta tra paesaggi nevosi e crudeltà assortite tanto di rimandare alla mente qualcosa di mitologico e archetipico, perso ormai nelle nebbie del tempo: la Caccia Selvaggia!
Secondo il libro “Lords Of Chaos” (Tsunami Edizioni, 2010):
”L’Oskorei è il nome norreno che indica le legioni di anime dei defunti che in certe occasioni vengono viste volare in gruppo nel cielo notturno. Si dice che a volte calino in picchiata dall’alto delle immensità oscure per ghermire una persona viva e portarla via con loro. I racconti dell’ Oskorei trovano riscontro anche in usi e costumi realmente esistenti, e che qualche centinaio di anni fa erano ancora in vigore in parecchie zone rurali d’Europa settentrionale. Di solito accadeva intorno al periodo di Yule, quando orde di giovani scalmanati cavalcavano in gruppo di notte, spesso terrorizzando i villaggi con le grida e la veemenza del loro arrivo”.
L’Oskorei rappresenta la caccia selvaggia, dionisiaca e sanguinaria che inebria i corpi e le menti dei suoi partecipanti tra superstizione e morte.
L’Oskorei vampirica di Vergnani si abbevera alla stessa fonte archetipica e a questo punto mi chiedo se il riferimento sia consapevole o se ci troviamo nel campo di quelle visioni che da secoli imbevono il tessuto genetico dell’uomo medio. Ma stiamo andando oltre….
“L’ora più buia” chiude mirabilmente il cerchio!
È il romanzo che i fan di Vergnani (me compreso!) attendono da almeno un anno. Il destino dei suoi anti eroi in qualche modo sarà compiuto e chi si attende finali consolatori o una trama prevedibile verrà oltremodo deluso.
Coraggio e viltà, sesso e amore, sottile ironia e grasse (e maleducate) battute, peosia e desolazione, anima e corpo, sangue e mistero, vita e morte: l’autore infonde nel suo ultimo capitolo tutta la complessa e variegata umanità dei suoi memorabili personaggi e lo fa nel suo stile unico e diretto.
E in un certo senso, sfogliando l’ultima pagina del libro si ha come l’impressione che lo scrittore modenese abbia chiuso i conti anche con i suoi demoni personali.
Parlare di capolavoro è quantomeno doveroso.