domenica 20 febbraio 2011

TIM LUCAS - IL LIBRO DI RENFIELD (GARGOYLE BOOKS – 2011)

La figura ambigua e complessa di Renfield è da sempre uno degli interrogativi più inquietanti dell’opera di Bram Stoker: quel “Dracula” che da anni sembra ormai godere di una rigogliosa giovinezza, come se davvero fosse stato “vampirizzato” per rinascere a vita eterna.
Ho letto con profondo interesse e ammirazione la nota finale al romanzo di Alessandro Defilippi (consiglio ai lettori di leggere prima questa parte, poi il romanzo, in quanto la considero una splendida prefazione “mancata” al libro di Lucas) e l’approfondimento di Danilo Arona sul sito di Gergoyle.
Pur apprezzando enormemente le connessioni psicologiche, allegoriche e archetipiche della figura del “folle” e del “caos”, racchiuse nel personaggio/Renfield, ho sempre considerato quest’ultimo un vampiro “mancato” ("mancanza", un cardine di questa recensione).
Renfield è lo schiavo di Dracula ed ha un legame fortissimo col suo padrone vampirico. Stoker è stato sempre chiaro in proposito.
Nel capitolo diciottesimo del romanzo dell’autore irlandese (Diario del Dottor Seward - 30 Settembre), Renfield, accettando di incontrare Mina Harker nel manicomio di Carfax Habbey, ammette candidamente di voler cambiare la sua natura umana e di credere nel vampirismo:

“Il fatto è che io stesso sono un esempio di uomo che crede in una cosa strana. Davvero, non deve affatto meravigliare, che i miei amici fossero preoccupati ed insistessero perché fossi tenuto sotto controllo. Ero convinto che la vita fosse un’entità positiva e perpetua e che, nutrendomi di una moltitudine di cose viventi, non importa quanto in basso nella scala della creazione, potessi prolungare la vita all’infinito. A volte credevo così ciecamente che ho persino tentato di impossessarmi di una vita umana. Il dottore può testimoniare che una volta ho cercato di ucciderlo allo scopo di aumentare le mie forze vitali, assorbendo la sua vita nel mio corpo attraverso il sangue, basandomi naturalmente sulla frase delle Scritture «Perché il sangue è la vita »”.

Lo stesso Seward afferma perentoriamente in un altro passo del romanzo che tutte le crisi di Renfield sono da addebitare alla presenza del Conte e la sua patologia è quindi collegata ai vaneggiamenti sulla venuta di un ipotetico “Padrone”.
Per non parlare del nostro caro “folle” il quale, quasi prendendo in giro Seward in un momento di grandiosa lucidità (Capitolo ventesimo, diario del Dottor Seward - 1 Ottobre), consiglia il dottore di cercarsi un altro paziente per studiare il disturbo della Zoofagia, in quanto “la sua condizione intellettuale, per quanto riguarda le cose puramente terrestri, si trova nella posizione spiritualmente occupata da Enoch (figura del Vecchio Testamento da sempre legata simbolicamente al sangue, al sacrificio e quindi al vampirismo, connessione che lo scienziato Seward non riuscirà a comprendere, interpretandola in modo astruso - se non errato - e quasi offensivo nei confronti del suo paziente).
Mi fermo qui, altrimenti perderemmo la strada maestra, aggirandoci in un dedalo di supposizioni e teorie che ci porterebbero lontano dal bellissimo romanzo “spin off” di Tim Lucas “Il Libro di Renfield”. Il discorso, comunque, non cade nel vuoto, anzi…
Lucas costruisce un’indagine approfondita sulla psicologia del personaggio (in forma di diario, adottando quindi le stesse suggestioni del romanzo “stokeriano”), partendo dalla sua infanzia solitaria e violata, fino ad arrivare all’incontro con la fede (un fede cieca e violenta materializzata nel personaggio di Padre Renfield, tutore magnanimo ma superficiale, bigotto ma paziente) fino all’incontro devastante e traumatico con l’esperienza della morte, sintetizzata nel corpo pietoso di un uccello, forse ucciso dallo stesso Renfield/ragazzino con una fionda. Dal rifiuto del Padre di dare una benedizione religiosa (e una degna sepoltura) a quel piccolo cadavere che, a detta del religioso, non può essere contemplato nel regno di Dio, si scatena il Renfield/pensiero/rifiuto/patologia che lo porterà lentamente alla fuga nella dimensione alterata e spettrale (leggete il paragrafo sull’apparizione dell’essere fatto di mosche e capirete…archetipo profondamente romantico e catacombale, diretto discendente del mostro composto da cadaveri, morti accidentalmente nei boschi, del Poeta Sepolcrale Ambrogio Viale) della zoofagia, che, dal mio punto di vista, deve essere sempre interpretata come rigetto dei principi cristiani di morte e resurrezione dell’anima per una più prosaica ricerca di una vita terrena, anch'essa eterna, ma legata al sangue e al corpo. Insomma vampirismo come abbiamo detto in precedenza.
Essendo poi Tim Lucas, un critico cinematografico di altissimo livello, è mio pensiero che si sia ispirato a diverse atmosfere e trovate narrative presenti nel capolavoro di Francis Ford Coppola (1992). Il rifiuto disperato di Renfield dei dogmi cattolici di vita e morte, propinati dal tutore, sembra una versione più complessa e ragionata della furia di Dracula, che nella parte iniziale del film, maledice Dio e la Chiesa, per aver condannato all’ Inferno l’amata moglie Elisabetta, suicidatasi per disperazione e dolore, dopo aver ricevuto la falsa notizia della morte del marito in battaglia.
Il principio è lo stesso: l’anima non ha più valore, né teologico né quale meta dimensionale, e la fuga nel sangue e in una vita terrena, seppur oscura e limitata, è un atto di coraggio ma anche di dolore indicibile. E poi il Renfield di Lucas è davvero somigliante, per descrizione e caratteristiche letterarie, a quello interpretato da uno splendido Tom Waits (anche questa una connessione Horror Rock di non poco conto) nel “Dracula” di Coppola.
Il libro gioca su un’ambiguità di fondo: Renfield, discepolo del vampiro oppure uomo folle, afflitto da disturbi patologici legati alla zoofagia? Tim Lucas, da buon narratore quale è, decide di non risolvere questo importante quesito, avvolgendo il suo pargolo letterario in un sudario di visioni orrorifiche e di inquietanti eventi legati alla sua travagliata esistenza. Una mancanza, appunto, come affermavamo in principio.
Ma per gli amanti del capolavoro di Stoker non mancheranno (stavolta ci siamo!) gustosi approfondimenti sulla psicologia dei personaggi cardine del romanzo originale: le pene d’amore di Seward, sfociate nella depressione e nelle morfina, la voglia di ricominciare degli Harker, magari pubblicando un libro sulle loro peregrinazioni terrene al contatto col grottesco per antonomasia: il Vampiro. Maledizione protrattasi fino ai nostri giorni con la pubblicazione di migliaia e migliaia di romanzi sull’archetipo del non morto.
Se ci pensiamo bene potrebbe essere una ulteriore chiave di lettura del libro: focalizzare l’attenzione sulle pene cerebrali di Renfield, per allontanare il babau stantio e abusato di Dracula o relegarlo a mero Deus ex machina di eventi più grandi del suo già immenso potere? Il trionfo della razionalità sulle ombre della superstizione e dell’ignoranza?
Potrebbe essere…
Del resto ci aveva già pensato Marin Mincu (poeta, storico e critico letterario rumeno) nel suo libro "Il Diario di Dracula" (Bompiani - 1992), spogliando il simbolo/Dracula di ogni valenza soprannaturale e relegandolo in una dimensione di austera solitudine e struggimento:

"Infima tentazione del corpo di oltrepassare il suo limite, nella serie infinita delle possibilità dell'essere. Ma quale limite? Quello della materia? La materia non è faccenda che mi compete, essa nega il mio corpo. Il mi riconosco solo nel fluido cosciente che scorre attraverso il mondo della materia. Ciò che mi distingue dagli altri è soltanto questa facoltà del mio essere. Se non fossi chi sono vorrei essere il pastore mioritico, che si strugge di attraversare solitario l'esperienza della morte per potersi integrare nel cosmo. L'esperienza della morte, in qualsiasi modo, in tutte le varianti e a tutti i livelli possibili, è la mia aspirazione. Ho attraversato la morte fisica, e conosciuto tutte le forme in cui l'essere umano vi è coinvolto".

“Il libro di Renfield” ha tantissime chiavi di lettura e una carica visionaria unica e avvincente. Come tale, un capolavoro della narrativa contemporanea, che prende le distanze in maniera netta dagli stilemi gotici del passato, conservandone solo una forma sfavillante, tipicamente ottocentesca.

Fonti:
Bram Stoker – Dracula (Newton - 1993)
Ambrogio Viale – Il Solitario delle Alpi (1769)
Marin Mincu - Il Diario di Dracula (Bompiani - 1992)

3 commenti:

Mi presento ha detto...

Ottimo commento

Mi presento ha detto...

Ottimo commento. Un romanzo interessante e poliedrico.

EDU ha detto...

Ti ringrazio molto.
Gentilissimo.