giovedì 24 marzo 2011

AARON AINTES - UNTIL THE LIGHT TAKES US (2009)


Titolo: Until The Light Take Us
Regia: Aaron Aintes
Genere: documentario
Anno: 2009

Terribile, terribile!
Siamo di fronte al peggior documento sia mai stato realizzato sul Black Metal nordico e i suoi “eroi”. Peccato non averlo visionato prima altrimenti lo avrei inserito nel capitolo di Horror Rock intitolato “Il crepuscolo del Black Metal”.
La decadenza di un immaginario che aveva fatto sognare un ritorno dell’uomo ai simboli primordiali della sua storia (vecchi dei, foreste, caccia selvaggia, oscurità, sacrifici, folklore) sta lentamente assumendo i caratteri di un processo di degradazione ormai irrimediabile.
“Until The Light Take Us” può essere tranquillamente ascritto a una forma di reality (compiaciuto e compiacente) sul Black Metal. E se il termine “reality” può far già storcere il naso, osservare un noto musicista norvegese che nei primi anno ’90 si era ribattezzato “Fenriz” (un lupo che nella Mitologia del Nord ha significati oscuri legati all’ inferno e ai giganti delle foreste) farsi riprendere mentre viaggia in treno, mette un disco nel suo appartamento accanto allo stendino della biancheria, si fa una canna e brinda in un locale di Oslo mentre bacia una ragazza…
Questa, signori miei, è davvero la fine!
Il buon Gylve ci tiene a far conoscere la sua parte giovanile (viene anche perquisito in treno per ragioni che non vengono specificate nel documentario) e solare (da qui anche il titolo?) e vederlo in questo “film” mentre si fa intervistare come un personaggio del Grande Fratello, (faccione in primo piano e cazzate a raffica) ridimensiona e di molto il giudizio che uno si è potuto fare sul suo conto. Dove sono gli archetipi ancestrali del Nord? Dov’è la guerra ideologica e violenta ai valori cristiani? Dove sono i signori del caos? Dov’è l’indagine antropologica sul movimento?
Il tutto è ridimensionato ai soliti fatti riproposti ormai in tutte le salse e per di più col sorriso sulle labbra (vero Hellhammer?).

C’è però una parte di questo documentario che mi ha impressionato e non poco: Gylve, dopo il "tragicomico" viaggio in treno entra in un’ anonima mostra d’arte.
All’improvviso si paralizza davanti una parete piena zeppa di fotografie. Sono i vecchi eroi della scena Black Metal: Dead e Euronymous.
Fotografie di ragazzi truccati da cadaveri che hanno trovato la morte nei modi più orribili ed efferati. Quelle immagini fanno davvero paura. Sembrano incisioni medievali di vecchi demoni relegati negli antri più oscuri della mente umana.
Sono simboli di morte, di disastro, di tormento da sempre legati all’estetica black metal. Gylve osserva quello che non è più (un lupo del Black Metal) e rimane attonito.
Sembra quasi non voglia rimanere troppo in quel luogo di ricordi e sangue.
Gylve guarda l’ombra di un sogno di cui più non è parte, avendo scelto la luce delle telecamere e la visibilità di un qualsiasi musicista metal.
Da segnalare anche un’intervista (penso inedita anche se ho l’impressione di aver già letto da qualche parte alcune sue dichiarazioni…) in carcere a Varg Vikernes.
Le immagini sono di sicuro effetto. Il "babau" norvegese viene accompagnato (vestito di pantalone mimetico e barba da sciamano) da una guardia nella stanza adibita per l’intervista.
Le sue risposte sono le solite ma sono anche più razionali e condivisibili di quanto si possa pensare. Questo per dire che dietro il musicista nordico che ha commesso una serie di crimini e sciocchezze varie c’è comunque un uomo che pensa con la propria testa, attingendo a piene mani da quell’immaginario che lui stesso ha contribuito a creare.
Troppo poco per salvare questo “Until Light Take Us” che manco a farlo apposta, ci da un segno definitivo di quanto il Black Metal sia ormai un’ombra che si confonde nella notte impenetrabile e perenne del Nord.

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