mercoledì 18 luglio 2012

CLAUDIA SALVATORI – IL CAVALIERE D’ISLANDA (MONDADORI – 2012)

Ero davvero curioso di leggere questo nuovo romanzo “storico” di Claudia Salvatori visto che nel mio piccolo mi reputo un appassionato ricercatore di quelle suggestioni care al Medioevo storico e leggendario. Questa mia passione ultraventennale non viene assolutamente delusa dalla Salvatori che costruisce un romanzo robusto e sincero, che a una trama avventurosa e epica, abbina una ricerca storica oserei dire minuziosa.
Già dalle prima pagine si comprende il grande lavoro storiografico alla base del libro: attraverso il protagonista Kveld, un giovane tormentato che vive in un’Islanda lacerata dall’arrembante cristianesimo e una spinta conservatrice verso i vecchi idoli pagani, troviamo termini, miti, aneddoti e fatti legati al contesto culturale e sociale del periodo.
Sembra di rivivere quei giorni a noi lontani e sorprendentemente (almeno per il sottoscritto) la scrittrice di Bassavilla usa uno stile malinconico e diretto, lontano da altri suoi noti romanzi come “Abel” o “Il Sorriso di Anthony Perkins”. Se nel primo si notava un desiderio non celato di “umanizzare” il mostro della tradizione orrorifica attraverso un messaggio moderno e atipico e nel secondo cercava addirittura di spostare il “Giallo” verso strutture e trovate quantomeno inedite per il genere, “Il Cavaliere d’Islanda” è un ritorno, a mio avviso mirabile, alla narrazione pura e semplice.
La saga di Kveld in giro per l’ Europa sembra uscita da un poema epico del 1200: al centro della narrazione c’è sempre l’eroe, il guerriero con le sua passioni, il suo coraggio, le sue avventure e esperienza personali. Claudia Salvatori in questo non si risparmia minimante, costruendo una trama fatta di viaggi, battaglie, giostre, amori, tradimenti e tutti quegli ingredienti che rendono il romanzo assolutamente degno di lettura. Particolarmente vivide le pagine dedicate all’alter ego di Kveld, almeno per una parte significativa del libro: parliamo del famoso sovrano inglese Riccardo Cuor di Leone. Sorprendentemente la Salvatori non offre un’immagine idealizzata del condottiero della Terza Crociata, così come la ritroviamo nei scritti più celebri di Walter Scott. Il Riccardo del “Cavaliere d’Islanda” trova la sua ragione nella storiografia ufficiale che lo descriveva come rozzo e brutale.
Nel contesto del romanzo ci sono poi elementi ulteriori (che verranno approfonditi dall’autrice anche nell’intervista allegata più in basso) come una sorta di decadente disincanto e una dedizione totale al sangue e al combattimento non solo in battaglia (le guerre hanno sempre un prezzo monetario) ma anche in una sorta di “Fight Club” medievale ad uso e consumo delle inquietudini personali del re inglese. Questo è uno dettagli più significativi di tutto il romanzo: il medioevo delineato nel libro, non ha niente a che fare con la fantasy elegiaca o con un’epicità per famiglie.
Nell’anno mille (del resto come nel 2012 ma in forme diverse) esistevano concetti come il potere, la cupidigia, la crudeltà della conquista, l’eliminazione fisica del nemico, l’idealizzazione cieca e la scadenza dei costumi. Tutto questo (e molto di più) è presente nel romanzo della Salvatori che pur parlando di arme, dame e cavalieri, ne ridimensiona la portata letteraria, ampiamente battuta in precedenza, mostrando il lato oscuro della cavalleria e di una società che sotto le cotte di maglia dei campioni e i vestiti sgargianti dei nobili, cela la sofferenza e l’inganno, la solitudine e l’oppressione del più debole. Per il resto chi ama la fulgida bellezza delle saghe medievali con gli amori, le guerre, i combattimenti all’arma bianca e gli assedi ai castelli non potrà che bearsi delle pagine del “Cavaliere d’Islanda”.
Per il sottoscritto il miglior romanzo di Claudia Salvatori finora letto.























Completata la lettura del romanzo e una prima bozza di recensione ho pensato di inviare alcune domande all’autrice in modo da avere un quadro ancora più chiaro del libro e delle sue dinamiche narrative. Di seguito un’intervista alla Salvatori su alcuni punti chiave già sviscerati in precedenza e non solo. Ringrazio ancora la scrittrice per la cortese disponibilità.


Nella prima parte del romanzo narri con dovizia di particolari la sfortunata e tormentata infanzia di Kveld in un’Islanda antica, lacerata tra la fede nei vecchi dei e la prepotente (e corrotta) forza del cristianesimo. Da appassionato di storia e mitologia nordica mi piacerebbe conoscere i testi e le fonti che hai utilizzato per questa parte del romanzo.

Ho inserito Kveld nella storia d’Islanda, e mi è piaciuto rappresentare in lui il conflitto culturale fra irlandesi cattolici e vichinghi pagani. Gli ho attribuito una discendenza diretta da un eroe e poeta islandese, Egill Skallagrímsson. Non conosco molto bene la letteratura islandese, ho letto alcune poesie di Egill tradotte e una piccola parte dell’Edda. Da Egill è venuta l’ascia, come simbolo di un’anima divisa fra due culture diverse. Anni fa volevo scrivere una biografia di Robert D’Arbrissel, fondatore di Fontevrault, anche lui figlio di un sacerdote cattolico e segnato da questa esperienza. L’idea è confluita in Kveld.

Descrivi in modo vivido e deciso tutte le brutture del Medioevo, ridimensionando in modo netto fenomeni  romantici e avvincenti come la Cavalleria (e i suoi ideali) e le motivazioni alla base delle Crociate in Terra Santa. Vorrei che mi raccontassi le ragioni alla base di questa scelta narrativa…

Le motivazioni alla base delle Crociate possono essere state, come molte vicende umane, un impasto di vera fede e di svariate forme di avidità. La mia scelta narrativa riguardo alla cavalleria non è tesa a ridimensionarla: tutt’altro. Ho voluto evitare certe immagini bidimensionali fatte di solo scintillio di armature, certe visioni smancerose da vecchi libri per l’infanzia. All’interno delle armature c’erano sangue, sudore, sporcizia e molto altro, ma questo non nega la tensione spirituale più pura. Il mondo è una totalità, e la nobiltà cavalleresca va forgiata attraverso il suo contrario. 

Passiamo a uno dei personaggi più controversi e affascinanti del romanzo: Riccardo Cuor di Leone. Ne “Il Cavaliere d’Islanda” lo dipingi come un combattente perverso ma leale, vizioso ma coraggioso, crudele ma ambizioso. Insomma un personaggio più complesso di quello che abbiamo conosciuto nell’ “Ivanhoe” di Walter Scott. Scelta personale o frutto di una certosina ricerca storica?

Scelta personale, all’interno del mio comportamento abituale: interpretare senza abusare della Storia. Il 90% dei contemporanei di Riccardo lo avrebbero dato quasi sicuramente per sodomita; ho preferito attribuirgli un altro tipo di passione, quella per la lotta e il dolore. Passione che doveva essere condivisa da molti. Pensiamo ai tornei. Chi accetterebbe, oggi, un impatto frontale con la lancia spianata di un altro cavaliere, alla massima velocità di galoppo? Vorrei precisare però che “perverso” e “vizioso” sono definizioni che non fanno parte del mio linguaggio e della mia mentalità, almeno non nel senso in cui si usano abitualmente, cioè “gusto sessuale non esclusivamente eterosessuale”. Riccardo è stato anche crudele, ma non più di quanto lo sia un re con la guerra dentro e fuori di lui.

Parliamo dello stile del romanzo: trovo “Il Cavaliere d’Islanda” un testo molto più immediato e “action” rispetto a “Abel” o “Il Sorriso di Anthony Perkins” che avevano una struttura più complessa e diverse chiavi di lettura. Una vera e propria “cavalcata narrativa”. Mi piacerebbe conoscere il tuo parere in proposito e se sei d’accordo con la mia valutazione personale?

Sì, in parte sono d’accordo. Entrambi quei romanzi sono precedenti a Il cavaliere d’Islanda, partecipano delle mie esperienze narrative degli anni ‘90. Con la svolta dello storico ho privilegiato un approccio “medianico”, magico, onirico e trascinante. Non si trattava più di critica del nostro vivere quotidiano, ma del sogno di quello che vorrei, di proposte alternative trasformate in simboli. Volevo vedere se riuscendo a incantarmi avrei incantato anche i lettori.

Domande secca e diretta: che cosa ti aspetti da questo tuo nuovo romanzo? Quali sono gli obiettivi e/o le speranze di una scrittrice di successo e di grande visibilità come Claudia Salvatori?

Questo romanzo è una tappa di un percorso che dovrò necessariamente essere ancora molto lungo. Ne abbiamo già parlato in passato: la figura dello scrittore è stata oggetto di un lungo e sistematico processo di riduzione e perdita di prestigio. Il successo forse è stato vanificato dagli attuali meccanismi socio-culturali. Se lo desidero ancora, alla mia età, prescindendo dalla vanità e altri sentimenti poco elevati (contro cui combatto) è per un bisogno di stabilità e sicurezza, per poter continuare a lavorare con un minimo di agio, libertà e dignità.

Claudia, come va la letteratura di genere in Italia? È davvero in crisi come tutti dicono o c’è una luce alla fine del tunnel?  Un tuo parere in proposito…

A mio parere, tutto è legato alla crisi economica. Quando si saranno esaurite le conseguenze della crisi economica, tramonterà anche la scuola di pensiero che ha fatto legge negli ultimi decenni di cultura italiana. Allora si sentirà anche il bisogno di un rinnovamento artistico.

Ultima domanda: nel tuo blog personale SUN/SATURN affermi: “Con il romanzo storico ho assecondato le mie naturali tendenze oniriche, ho fatto autoterapia e ho avuto la possibilità di indovinare stati di coscienza diversi da quelli attuali, valori che mi piacerebbe veder risorgere”. Quali sono questi valori? Il (nostro) passato storico è ancora in grado, nel 2012, di essere “esempio di vita” per giovani e meno giovani?

Valori corrispondenti a parole scomparse o quasi scomparse dal vocabolario: fedeltà, abnegazione, virtù, saggezza… Un esempio per tutti la saggezza. Nel mondo antico i saggi erano onorati, e si distingueva tra conoscenza tecnica, acquisizione di un’abilità, dalla vera saggezza che è la comprensione del cuore umano. Oggi si riconosce soltanto la conoscenza tecnica, la specializzazione.
Il passato storico è sempre in grado di fornire esempi, dipende dal fatto se li vogliamo. La Storia procede per cicli e alcuni di questi cicli sono ritorni vissuti in modo rinnovato. 

3 commenti:

Nick Parisi. ha detto...

Mi congratulo con la tua intervista.
Speriamo che la Salvatori abbia ragione riguardo al tramonto di un certo tipo di mentalità italiana.

angie ginev ha detto...

Congratulazioni vere, mi unisco a Nick ...speriamo che la saggezza non sia una luce in estinzione, speriamolo.
Ciao Edu
Angie

EDU ha detto...

Grazie amici.
Perdonatemi se sono latitante sui vs blog ma in estate cerco di staccarmi un po' dal maledetto pc.
Spero di recuperare presto i vs post
Buone vacanze
Edu