sabato 1 dicembre 2012

NEL BUIO DELLA FORESTA




























Ci sono persone che nella loro vita esaltano l'oscurità, i boschi, i luoghi isolati e decadenti (e molto spesso “maledetti”) e una sorta di misantropia romantica, seduti comodamente davanti al pc con il caffè fumante nella mano, i riscaldamenti accesi e una lampada sulla scrivania a rischiare le tenebre della notte in attesa di una notifica su Facebook o di un commento sul blog.
Ma un tempo gli “”archetipi” che ho citato in precedenza (scomodando Jung, a mio avviso uno dei filosofi più importanti del pensiero umano in assoluto) hanno caratterizzato l'istinto di sopravvivenza degli cosiddetti “uomini delle caverne” in perenne lotta con il buio della notte e le sue nascoste insidie, siano esse materiali o immateriali.
Tutte le leggende, i miti e gli aneddoti connessi con la dimensione soprannaturale e orrorifica dell'esistenza umana, nascono nel fitto intrico di una foresta, con un tenue fuoco a illuminare i tronchi spettrali mentre ombre informi e paurose danzano tutt'intorno, come anime disincarnate e strani versi si insinuano misteriosi tra i rami scheletrici.
Avete mai provato a camminare di notte in un bosco, da soli, in una situazione di totale incertezza e timore immotivato?
Io l'ho fatto e credetemi non è una cosa per niente piacevole.
I sensi si acutizzano completamente e riesci a percepire suoni o rumori che in un contesto diverso sarebbero quantomeno impercettibili.
L'istinto primordiale, arroccato nei geni più nascosti del nostro corpo, abbatte le barriere razionali dell'io moderno, ponendoci di fronte al più antico e misterioso babau dell'umanità: il buio.
La fantasia, quella ancora citata in precedenza, fa il resto, creando dal nulla visioni e incubi che infesteranno per lungo tempo la nostra mente, sopratutto al calare delle tenebre.
Tutto questo preambolo per parlare di Dark Woods, La Foresta misteriosa (Villmark), film norvegese del 2003.
Un lungometraggio capace di risvegliare ancestrali paure anche negli spettatori più smaliziati e cinici.
Ecco la trama:

Gunnar, un produttore televisivo norvegese, organizza un reality-show molto particolare: dieci persone dovranno sopravvivere per tre mesi nelle foreste scandinave, in un duro confronto con la natura selvaggia. Radunato il gruppo di lavoro, insiste affinché alcuni ragazzi partecipino a un corso di sopravvivenza di quattro giorni, nella profondità delle foreste, per verificare dal vivo in che modo i partecipanti affronteranno lo stress dello show. Gunnar e i suoi quattro collaboratori fanno tappa in una capanna abbandonata sulla riva di un lago, e subito accadono strani eventi... 

Solo un regista norvegese, dalla sensibilità sviluppata e alquanto arcaica verso la natura e i suoi desolati paesaggi poteva scrivere un horror/thriller in cui i boschi la fanno praticamente da padrone. Gunnar e i “suoi” ragazzi si aggirano col loro carico di umane brutture nella foresta selvaggia e incontaminata e l'incontro/scontro con la “selva solitaria e oscura” sarà foriero di eventi non poco agghiaccianti. 
Da notare che gli uomini e le donne del Nord, anche nei film, sembrano non avvertire quel timore reverenziale e a volte grottesco nei confronti della natura che di solito attanaglia la maggior parte del cinema mainstream. 
Quello che cambierà gli equilibri della storia non sarà un incontro misterioso nella foresta di notte (cosa che sembra non provocare nulla nel tipico ragazzo norvegese, un po' rock, un po' tormentato, quasi sempre freddo come il ghiaccio), ma un fatto alla luce del sole: un omicidio irrisolto che scatenerà la follia e l'orrore. È il mondo al contrario: al calare del sole dovrebbero scatenarsi esseri disincarnati e troll repellenti e invece è la notturna, desolante natura ad avvolgerli come un sudario, nascondendo insidie e follie prettamente umane. Di giorno invece una tenda abbandonata, un corpo nascosto in uno stagno, un delirio ancora da scoprire sono i babau che scatenano eventi infausti e imprevedibili. Ancora una volta il cinema nordico dopo Dead Snow, Trollhunter e Valhalla Rising ci consegna un altro capolavoro espressivo e dalle molteplici interpretazioni e chiavi di lettura. 
E soprattutto ci regala dei sani brividi dietro la schiena, come li provai io anni fa mentre cercavo di raggiungere, nel folto intrico di un bosco di montagna, l'auto che mi avrebbe riportato finalmente a casa.              

2 commenti:

Nick Parisi. ha detto...

Hai ragione solo ad un regista del Nord Europa poteva trattare la materia in una maniera del genere.
Noi mediterranei abbiamo da tempo perso questo contatto con la natura.
Complimenti per la tua esperienza, io ho fatto un tentativo del genere, purtroppo parzialmente rovinato dal fatto che ero in gruppo.

EDU ha detto...

Sicuramente noi mediterranei abbiamo una visione diversa della natura vivendo molto spesso in zone poco isolate e quartieri ultra affollati.
Per quanto riguarda la mia "avventura", un giorno ti racconterò ;)