lunedì 23 marzo 2009

da’namaste : il viaggio intimo e catartico in fondo al tunnel

Un’intervista “altra” per una band che ormai è al di fuori (meritatamente) dei confini angusti e soffocanti dell’underground salernitano.

La recensione del loro "In2i" la trovate qui:

http://ilmondodiedu.blogspot.com/2008/08/danamaste-in2i.html

Credo che un’introduzione all’intervista con Teresa ( voce e chitarra dei da’namaste) sia solo forviante e inutile vista la complessità dei concetti e delle ispirazioni del nuovo album in2i. Quindi bando alle ciance…
Partiamo con una domanda che di solito si chiede alla fine. Ora che il vostro nuovo cd è finalmente uscito quali sono le vostre aspettative, le vostre ambizioni? E guardando per un attimo indietro alla fase di creazione e registrazione come vi sentite adesso?
Quando abbiamo registrato le 11 tracce del disco non sapevamo cosa potesse accadere, non eravamo assolutamente certi di poter trovare una produzione e tanto meno una distribuzione nazionale, per cui la fase di costruzione e di registrazione ha risentito di questo stato di attesa e di confusione generale…Abbiamo però avuto la fortuna di far coincidere in un'unica persona (Francesco Tedesco) la figura del cantante/chitarrista con quella di tecnico del suono (non sempre accade che chi ti cura la registrazione è un componente del gruppo, cosicché - quando accade - puoi incazzarti, urlare, prendertela comoda, ripetere il pezzo finché non ti piace!) ed è per questo che in studio IMRecording si è creato un clima di relax e di libertà espressiva che non avevamo provato durante le registrazioni di Priva di rilievo! Quando poi – inviando i provini dei primi quattro pezzi – abbiamo visto che la Tomato/Cni era interessata ad ascoltare gli altri brani, è stato emozionante… Ora che in2i è uscito la nostra aspettativa principale è riuscire ad attirare l’attenzione della gente, di chi ascolta musica e di chi la fa, poter “arrivare agli altri” e poter suonare tanto, e dappertutto.
C’è stato qualcosa o qualcuno che ha influenzato particolarmente le vostre composizioni?
E’ impossibile che il contesto, gli eventi, la musica che ascolti, i film che ti piacciono, il modo di guardare il mondo, non influenzi una composizione…se poi metti che il lavoro di gruppo è tale proprio perché si incrociano menti diverse, nel nostro caso quelle di quattro persone, è intuibile la difficoltà nel dire cosa ha influenzato una creazione. Nello specifico, dal 2003 ad oggi abbiamo vissuto, sul piano personale, momenti d’angoscia, di quelli che fanno parte della vita stessa ed è giusto che sia cosi, ma la musica ha fatto da basso continuo, come via di rinascita e di crescita, e i pezzi di questo disco ne sono sicuramente l’espressione.
Mi sbaglio o le atmosfere dei pezzi sembrano essere meno cupe ed ermetiche e più personali e “lampanti”? Sembra quasi che abbiate voglia di essere più chiari con i fruitori della vostra musica?
Si, è vero. Il nostro tentativo è stato quello di usare parole più semplici per raccontare la complessità... Forse qualche anno fa era quasi una convinzione inconscia che le parole del “quotidiano” non rispecchiassero la complessità della vita, delle cose che accadono, la loro profondità. In quest’ultimo periodo ci siamo accorti che è molto più difficile approdare a questa limpidezza, e che gli scrittori che lo sanno fare sono davvero dei grandi.
Usare le cose comuni per raccontare la profondità: credo sia una qualità difficile da raggiungere, e noi siamo appena all’inizio.
In “In2i” ho riscontrato una qualità di concetti e di idee musicali così elevate da non potervi ormai più considerare una band “Underground”. Sei d’accordo?
Lusingati, ma non d’accordo! L’underground è una condizione, in Italia non c’è mediazione, o vendi milioni di dischi, o rimani una band che come le altre cerca di costruirsi – a fatica – uno spazio per sé.
Nei testi il trait d’union sembra essere “l’inverno” come attesa che può dare assuefazione e sconforto insieme ma anche come passaggio verso una stagione migliore? Qual è la nuova stagione dei da’namaste?
E’ una bella interpretazione la tua, e giusta. L’inverno è una stagione in cui tutto si ghiaccia, è senza nascita, senza vita…ma è la premessa per la “bella” stagione.
E la nuova stagione è questa, questo tempo! E’ questo inizio del 2008 che sta portando tante cose nuove, tanti eventi attesi da tempo, tanto entusiasmo, energia, rumore, lavoro, passione… Stiamo vivendo un momento molto bello ed è una gioia poterlo condividere con persone meravigliose.
Ho definito nella recensione allegata il vostro primo cd “Priva di rilievo” come un album con sfumature di “grigio” mentre nel nuovo il colore dominante è il “bianco”. Che ne pensi?
Bianco come la neve, come la luce, come la biancheria pulita, come la purezza delle cose essenziali…(ci piace!).
Parliamo del video tratto dal pezzo “Come ora”. L’ho visto su my space ed è montato e prodotto in maniera impeccabile. Sembra quasi una storia Noir in musica. E’ stata vostra l’idea del personaggio incappucciato?
L’idea era proprio quella di creare un piccola storia Noir… Il personaggio incappucciato è un uomo solo, ed è in questa solitudine che combatte contro il male dei suoi ricordi, il percorso che fa - dall’acqua allo specchio della sua stanza - è la sua vittoria.
Il video è stato ispirato a un mio sogno reale di tanti anni fa (un uomo che cammina scalzo su dei capelli, i suoi), ci sembrava simbolico… l’abbiamo proposto ad Antonello Novellino (regista) – che abbiamo apprezzato per il cortometraggio “La pianta”, ma che ultimamente ha realizzato tanti bei lavori - ed ha riadattato, con grande professionalità, queste “immagini oniriche” sulla musica di Come ora, girando alcune scene in Marocco dove si trovava i giorni immediatamente precedenti alla realizzazione delle riprese del videoclip. E’ da quei posti che Antonello ci ha portato la djellaba, l’abito tradizionale marocchino che indossa il protagonista, l’attore Antonio Grimaldi che ha recitato in tutte le scene che appartengono al passato della storia, e che ringraziamo per aver preso parte a questa piccola realizzazione video.
I lettori interessati al cd dove e come possono trovarlo?
Con distribuzione Venus i cd arriveranno in qualsiasi negozio di dischi… ci diceva l’altro giorno il responsabile della nostra etichetta che tra una settimana i dischi saranno reperibili in tutte le città di Italia. Un altro modo più semplice e veloce è quello di acquistarlo sul web, scegliendolo nel catalogo on-line del sito della Cni che lascio qui: http://www.cnimusic.it/, oppure ai nostri concerti, ovviamente!
Un cd e un libro che ultimamente vi hanno colpito?
L’ultima cosa che ho letto è stata “Rivelazione mesmerica”, tratta dai Racconti di Edgar Allan Poe… il personaggio di Vankirk mi affascina, ho trovato il suo messaggio intenso e vero.
(Rispondo sempre in maniera personale, ché gli altri non sono qui con me…). Sto ascoltando un cd, una raccolta che mi ha lasciato un mio amico, con lo swing dei fratelli Dorsey, Benny Goodman, e altri “mostriciattoli” della musica…adoro le atmosfere che riescono a creare!
Infine domanda classica. Progetti futuri e appuntamenti imminenti per i da’namaste?
Vorremmo realizzare un secondo videoclip a breve, e intanto stiamo arrangiando nuovi brani, e poi tanti concerti. Ringraziamo tutti voi, e lasciamo qui il nostro sito ( http://www.danamaste.it/ ) affinché si possa creare un filo diretto tra noi e i lettori del tuo blog.
Grazie!!!

venerdì 20 marzo 2009

NO RADIO, NO PARTY.

Seconda, scomoda, puntata sulla “defunta” Radio Antenna Sarno. Il senso di delusione del nostro interlocutore, Lucio Belmonte, rompe l’incantesimo del “fu” riportandoci alla dura realtà: Sarno deve tornare ad essere un faro culturale “reale”.

“Ho sempre pensato che la civiltà ed il progresso di una comunità si misura dalla sua capacità di comunicare e dagli strumenti di comunicazione che ha saputo costruire, noi sarnesi siamo un po’ amanti dello straniero ed un tantino provincialotti non guardiamo al futuro ma al caso da marciapiede.”
La disamine implacabile di Lucio Belmonte ( attuale collaboratore di Radio Kiss Kiss, quindi uno che di comunicazione se ne intende) sulla situazione culturale sarnese e sulla, ormai, cronica mancanza di strumenti atti a favorire un senso di aggregazione diverso e più significativo di una semplice manifestazione ludica in piazza, ci riporta con i piedi ben saldi per terra.
Il ricordo è un sentimento romantico,che avvince il cuore ci fa essere meno obiettivi e razionali.
Eppure, Lucio è stato chiaro. Dietro la patina dorata e luminosa dei giorni” che sono stati e mai più saranno”, si nasconde un problema antico con tutto il suo carico di insoddisfazione e sconforto.
Radio Antenna Sarno è il simbolo di un’occasione persa, di un sogno andato in frantumi per la superficialità di noi tutti e di chi ci rappresenta. Teniamolo ben a mente onde questo revival non diventi una grottesca esibizione di facce “comuni” e di “fattarelli” persi nel tempo. Il messaggio è chiaro. E le dichiarazioni, fin troppo sincere di un nostro concittadino fanno il resto:
Lucio, iniziamo dal principio. Come sei entrato nello staff di Radio Antenna Sarno? Era la tua prima esperienza in Radio? Di che cosa ti occupavi principalmente?
Caro Edu, sono entrato nel 1982 perché ho sempre amato la musica e smanettare con i brani mi piaceva montarli e smontarli allora con il registratore, appena entrai cominciai a fare le selezioni musicali e poi Nicola la Rocca mi chiese di condurre il mio primo programma si chiamava “ Stand up “.
Come era organizzata la Radio? Quali erano i programmi di successo e quelli cosiddetti di “nicchia”?
La radio di allora era completamente diversa da quella di oggi, sicuramente più legata al territorio, il programma di successo è stato sempre Self Service, spazio a dediche allora seguitissimo con tantissime persone che chiamavano, di grande successo il programma sportivo che seguiva la Sarnese e il mitico Tombolone nel periodo natalizio, programmi di nicchia penso pochi, forse di rock ma in quegli anni il rock era La Musica.
Com’era il feedback in quei giorni? Eravate apprezzati oppure c’era un timido seguito. Fin dove riuscivate a farvi sentire?
Ottima la fedeltà dei radioascoltatori, il raggio di copertura nei primi anni di radio Antenna Sarno era circoscritto all’agro nocerino sarnese e forse a qualche paese vesuviano, bisogna tenere conto che bastavano pochi watt di potenza per viaggiare nell’etere, oggi con la stessa potenza non si riuscirebbe ad uscire dal palazzo.
Perché la radio, ad un certo punto, cessò la sua attività?
La radio cessò la sua attività per incompetenza di coloro che l’hanno gestita negli ultimi anni di vita e per la mancanza assoluta di investimenti. In realtà Radio Antenna Sarno si è sempre sorretta con le proprie risorse senza molti investimenti.
Mi raccontava Gianacarlo Scoppetta in una precedente intervista, che praticamente doveva organizzarsi da solo le proprie rubriche acquistando addirittura dei dischi poi da passare in Radio. Per te era lo stesso? Ia Giunta comunale dell’epoca non fece nulla per far decollare il progetto?
Allora si era ragazzi e tutti compravamo i nostri dischi e li utilizzavamo per fare i programmi non c’erano molti fondi per l’aggiornamento, per quanto riguarda i governanti di allora assomigliano a quelli di oggi, incompetenti ed inconsapevoli del valore per una società di uno strumento di comunicazione, su questo argomento potremmo parlare per giorni, ma è fiato sprecato non esistono veri politici.
Che ne pensi oggi del panorama radiofonico? Al tempo di internet c’è ancora interesse per un mezzo tanto romantico e antico come la radio?
Penso che la radio sia molto cambiata negli ultimi anni, non è uno strumento antico e romantico perché si è evoluta moltissimo ed ahimé, ha perso il suo romanticismo, io ritengo la radio oggi più ricca della stessa televisione generalista e soprattutto non superata da internet ma casomai coadiuvata, inoltre resta in assoluto lo strumento di comunicazione più vero.
Sei ancora in contatto con gli altri collaboratori? Che cosa vi legava in quell’esperienza? Da esperto che cosa gli diresti adesso?
Si collaboro con pochi collaboratori di allora l’unico con cui lavoro oggi è mio cugino Pino Belmonte, che trasmette ancora con me ci siamo ritrovati a lavorare insieme da quando sono diventato il coordinatore artistico di Kiss Kiss Italia, lui veniva da una esperienza con RTL, la cosa che direi ai miei ex colleghi è che molti di loro hanno fatto bene a cambiare lavoro.
Secondo la tua opinione sarebbe possibile riesumare la “vecchia” Radio Antenna Sarno, magari in un progetto On Line, oppure è parentesi ormai conclusa della nostra storia?
Sarebbe bellissimo in un progetto online ma impossibile in etere, sarei il primo a lavorare a questo progetto, anzi sperimenterei anche cose nuove.
Scusami se sono un po’ cinico ma negli ultimi tempi ho notato una voglia di celebrazione e di autocompiacimento sulle ceneri spente di quel progetto. Non sarebbe meno ipocrita tentare qualcosa di nuovo senza adagiarsi sugli allori? Sarno è praticamente ferma in fatto di cultura e intrattenimento tranne alcune manifestazioni. Tu che ne pensi?
Io ho sempre pensato che la civiltà ed il progresso di una comunità si misura dalla sua capacità di comunicare e dagli strumenti di comunicazione che ha saputo costruire, noi sarnesi siamo un po’ amanti dello straniero ed un tantino provincialotti non guardiamo al futuro ma al caso da marciapiede e con Radio Antenna Sarno abbiamo perso un’occasione, la cosa che ci riesce meglio è distruggere ogni valida iniziativa.
Ora lavori per la prestigiosa Radio Kiss Kiss, penso un ambiente professionale e umano completamente diverso e in tutti i sensi, migliore, ma se ti guardi indietro ai giorni pionieristici della radio a Sarno che cosa provi?
Oggi la radio è il mio lavoro e sono fortunatissimo a fare quello che faccio, ma non è più la radio di quando ero ragazzo è sicuramente più fredda, riguardando al passato vedo una cosa che ho amato tanto e che mi ha aiutato a crescere umanamente e professionalmente.
Chiudiamo con qualcosa di meno impegnativo. Raccontaci un fatto curioso o strano accadutoti durante una tua diretta?
Una cosa curiosa durante la diretta di Radio Antenna Sarno un orgasmo di una radioascoltatrice al telefono che ho interrotto calando il cursore del mixer, una cosa recentissima il 21/12/08 durante l’intervista a Laura Pausini, appena mi ha rivisto dopo due anni mi ha detto in onda: Lucio sei dimagrito … ricordo le domande della tua ultima intervista mi hanno fatto commuovere, non farmi piangere anche oggi…
In quel momento ho pensato quanto fosse caratterialmente umile e grande un’artista di fama internazionale tanto da ricordarsi di una intervista di un semplice speaker.
Grazie di cuore Lucio. A te le ultime battute…
La radio è un mezzo di comunicazione fantastico ha un ingrediente che lo distingue dagli altri, oltre essere più vero necessita sempre di tanta fantasia e creatività.

martedì 17 marzo 2009

Jeffery Deaver,"Lo scheletro che balla"

Jeffery Deaver – Lo scheletro che balla ( Ed. Sonzogno, 2004)
E’stato definito dal Times : “il più grande scrittore di Thriller dei giorni nostri.”
E non a torto. I libri di J. Deaver sono un giro travolgente e pauroso sulle montagne russe del brivido letterario. Lo stile di scrittura è oscuro, tagliente e dal ritmo sempre sostenuto. I colpi di scena si susseguono convulsamente in un vortice di sensazioni da paralizzare il fiato. La galleria dei personaggi delineati con un metodo sempre rivolto a scioccare il lettore, sono quanto di più malato, malvagio e tremendamente reale uno scrittore contemporaneo abbia mai osato creare. Nel romanzo qui citato il criminologo paraplegico Lincoln Rhyme (definito da Giorgio Faletti come il personaggio letterario più incredibile e unico dal dopoguerra!!!) coadiuvato dalla detective nevrotica ma attraente, Amelia Sachs, cerca di fermare un camaleontico e inafferrabile killer professionista soprannominato “Lo scheletro”.
Un tipo che farebbe impallidire Manson oppure Ted Bundy per spietatezza e diabolica intelligenza.
Non mi spingo oltre per non rovinare le sorprese che sono tante.
Sempre di J. Deaver consiglio la lettura di altri titoli quali La sedia vuota, Il collezionista di ossa ( da cui l’omonimo film con un grande Denzel Washington) con protagonista sempre il duo Rhyme/Sachs e Sotto terra caratterizzato da un nuovo personaggio John Pellam, ambiguo e sfortunato sceneggiatore di Hollywood.


Disco consigliato in sottofondo: Slayer - Diabolus in musica (1998)

lunedì 16 marzo 2009

MUSEO DELLE CERE - ROMA

NOME: Museo delle cere
LUOGO: Piazza Dei Ss. Apostoli, 6700187 Roma
STORIA : è stato fondato nel 1958 da Fernando Canini, ispirato dai musei simili di Londra e Parigi. La raccolta è la prima in Italia e la terza in Europa per il numero dei personaggi raccolti.
Tra questi Mussolini, Garibaldi, Balzac, Dante. Leopardi, Hitler, Totò,Napoleone, O. Wilde, Zucchero, Totti, Chaplin, Verdi, Wagner e tanti altri.
Considerazioni: visita interessantissima a pochi passi dalla centralissima Piazza Venezia e Via Condotti. Alcuni personaggi sono riprodotti fedelmente e sprigionano ancora fascino, mistero oppure orrore. Altri lasciano qualche dubbio sulla loro verosimiglianza. Ma se volete fare un viaggio indietro nel tempo, irreale e magico, questo è il posto giusto.
Il prezzo del biglietto è assolutamente abbordabile. Una mattinata o un pomeriggio che non dimenticherete tanto facilmente.

Tutte le foto sono prese dal mio archivio personale.











































domenica 15 marzo 2009

48: I “Malatja” che parlano…

Intervista ai Malatja
storica band
Punk /Rock di Angri (Sa)

Ho visto per la prima volta i Malatja nell’estate del 1995 all’interno del plesso scolastico ex De Amicis ( altro morto che parla...). Era un mini festival di band locali ( c’erano anche i nostri mitici concittadini Void’s Daughter) e rimasi letteralmente folgorato dalla loro veemenza musicale ( che fa rima con Punk Rock!) ma soprattutto dai testi , molto crudi e veritieri, scritti in dialetto napoletano.
Già allora mi conquistarono. A distanza di quasi 15 anni questi highlander locali ritornano con un ennesimo album incendiario dove la rabbia dei nostri è ben lungi dall’essersi placata.
Ciao Paolo. Iniziamo a far conoscere ai lettori la storia umana e professionale dei Malatja?
Il progetto nasce nel ’94 senza grandi pretese, né quella di sfondare nel music business, né di voler dimostrare chissà quale virtù artistica. I Malatja avevano delle cose da dire: dalla rabbia che la provincia genera per le opportunità che ti nega, al perché questo succede , all’amore per la nostra città ma anche per le brutture che la vivono. Poi è chiaro, come per ogni cosa che comincia per caso, ma naturalmente con amore, ti rendi conto che quella creatura ti appartiene. Allora cominci a crederci e giungi anche a pubblicare degli album
Parliamo del vostro cd uscito da pochissimo“ 48 ”. Raccontateci l’esperienza del comporre e poi registrare la propria musica? Perché questo titolo numerico? Di cosa parlano i testi?
Come ben sai non è la prima volta che lo facciamo. “Munnezz” del 2000 e “Caparott” del 2004 ne sono una conferma. Di entrambi siamo felici e soddisfatti. Ogni album ha una sua storia, un proprio suono, la sua esperienza. Forse meno per Caparott che, per ovvie ragioni, è l’album più sofferto.
Poi se mi confermi che dopo la tempesta possiamo sempre aspettarci la quiete allora ti dico che 48 è la nostra quiete. E’ la rinascita sotto tutti i punti di vista. Un album di sostanza, corporale per il modo col quale lo abbiamo inciso, sicuri nell’esecuzione e molto più per quello che volevamo ascoltare e che volevamo arrivasse alla gente. Riguardo al titolo, 48 numero vuole essere il simbolo del caos che viviamo. 48 è la voce del morto che parla e che dice più cose dei vivi. E’ la voce dei deboli, di quelli che si dimenano perché la ruota giri anche a loro favore, ma i prepotenti urlano di più e loro tornano a stare zitti.
48 è la voce dei personaggi di tutti i giorni. Vedi, i testi parlano chiaro. Noi non sappiamo essere diplomatici. Non la mandiamo a dire, semplicemente perché la cantiamo così com’è, senza fronzoli. Cassintegration per esempio la dice lunga sulla situazione lavorativa in cui imperversa la penisola.
Com’è la vita artistica di un band “underground” come la vostra in un piccolo paese come Angri? Pregi e difetti, aspettative…
Ti rispondo semplicemente così come faccio quando mi pongono questa domanda: Non è difficile, è impossibile! Probabilmente noi non ingrandiremo le tasche di nessuna major…quindi perché dovrebbero guardare noi. Le major sono attente prima a vedere quanti soldi riuscirebbero ad incassare dall’immagine di una artista. Poi ascolterebbero quello che il musicista ha da dire…
Quali sono le vostre influenze musicali e non solo? Come descriveresti il vostro sound?
In 48 ho voluto inserire una cover dei Napoli Centrale che a me piace tantissimo: Vecchier mugliere, muorte e criaturi. E non è un caso. La realtà che James Senese ritrae nelle sue canzoni è la stessa in cui ci siamo specchiati anche noi. Le verità che vengono dalla strada, dalla vita, quella dura che il popolo vive e si guadagna giorno dopo giorno ci ha sempre toccati particolarmente. Poi però se allunghiamo lo sguardo oltre l’Italia ti faccio anche i nomi di Alice in chains e Nirvana.
Provenite tutti dall’area della provincia salernitana. Com’è fare musica Punk rock dalle vostra parti? Ci solo locali idonei dove esibirsi?
Ai nostri concerti c’è sempre un numero considerevole di persone a cui piacciono le nostre canzoni. In più credo che non manchino assolutamente i pub in cui fare musica. Sicuramente abbiamo una grossa carenza di strutture ampie e capienti dove poter organizzare concerti.
A Salerno e provincia sta nascendo una scena musicale forte con band di assoluto valore ( da’namaste, Kernel0, Toys Orchestra, Lothlorien etc). Vi sentire parte di questa oppure vi considerate degli”outsider”?
Mi piace molto l’idea di essere “outsider” ma non nascondo la stima e l’amicizia per i gruppi che hai citato, anche se penso che alla base della nostra produzione artistica ci siano tematiche ed interessi differenti.
Un ragazzo interessato alla musica dei Malatja cosa deve fare?
Avete un dominio in internet? Dove può trovare il vostro cd?
Può sicuramente acquistare 48, che è possibile trovare in alcuni punti vendita della nostra città, oppure venire ad un nostro concerto e lì trovare un tavolo con esposti i nostri album e i gadgets (spillette, magliette…)
Essere artisti non è mai facile soprattutto nelle nostre zone. Gli ostacoli e la diffidenza sono all’ordine del giorno. Che cosa fate nella vita comune quando non siete su un palco a proporre la vostra musica?
Io ho il mio lavoro e lo stesso vale per i miei compagni d’avventura, ma essere artisti è un modus vivendi e non si esce da questo stato mentale.
Vivi osservando la realtà in ogni sua forma e “raccogli” quello che ti serve.
Perchè non ci raccontate un fatto divertente o singolare legato alla vita da
musicista?
Quando sei in giro per i concerti è come tornare adolescenti, tutto diventa un gioco ed ogni esperienza ti lascia dentro qualcosa di indelebile. Basta andare su youtube e cercare i nostri live, sono farciti di esperienze singolari e molto divertenti.
Per finire domanda classica. Progetti futuri e appuntamenti imminenti per Malatja? Cosa vi aspettate da questo 2009?
In questo momento stiamo promuovendo il nuovo disco come avrai capito. Abbiamo Voci Alternative che è l’etichetta che ha creduto in noi e nelle nostre canzoni e che si sta adoperando perché il 48 tour continua a toccare quante più località della penisola. A breve ci auguriamo di poter oltrepassare i confini campani…chissà che non piacciano anche in Lombardia o in Emilia anche i nostri brani. Non sarebbe la prima volta dopo 14 anni. Abbiamo girato molto, siamo stati diverse volte nel nord e nel centro Italia e possiamo dire di essere molto soddisfatti dell’accoglienza ricevuta e del pubblico intervenuto. Per i prossimi appuntamenti vi rimando al nostro sito ufficiale, http://www.malatja.com/, o allo space, www.myspace.com/malatja.
Visto l’ottimo riscontro che continuiamo ad avere ai nostri concerti, perché non aspettarci nuovi concerti e sicuramente un 2009 ricco di soddisfazioni!
Grazie mille per la vostra disponibilità. A voi le ultime parole…
Semplicemente grazie a te e soprattutto a quelli che continuano a seguirci da anni.



IL GRUNGE A SARNO? VOID'S DAUGHTER!!!



Quando si dice che il destino è proprio beffardo! Nel momento in cui ho inviato, via mail, una serie di domande per il caro amico Massimiliano Franco, ormai trasferitosi da diversi anni a Pisa, pensavo che la splendida e triste favola della band sarnese denominata Void’s Daughter fosse solo " una bella storia" da racconatere.


Un gruppo di ragazzi “ figli del vuoto” esistenziale dei primi anni novanta (in parte colmato dai ripetuti ascolti del rock viscerale e drammatico proveniente dalla lontana Seattle, USA) che con il suono potente di una chitarra e la sfrontatezza cinica dei ventenni, hanno cercato di travalicare gli angusti e limitati confini della banale vita di provincia cercando un raggio di sole nella musica e nel sogno di proporla sulle assi di un palco. Ebbene mai lasciarsi catturare troppo dai ricordi soprattutto quando quel passato che ora andremo a sviscerare non è sepolto nel “cimitero delle illusioni” ma sopravvive ancora nelle note e negli accordi composti dal nostro interlocutore il quale non ha assolutamente intenzione di buttare la spugna. I Voids sono vivi e vegeti! Mai novella fu più dolce…
· Ciao Massimiliano. Ci puoi illustrare come nacque l’esperienza musicale denominata Void’s Daughter?
Beh, l’idea di base è sempre esistita fin da quando ho cominciato a suonare nei vari gruppi in cui sono stato coinvolto, dove, però, essendo la proposta musicale generalmente più estrema rispetto a quella che poi sarebbe divenuta dei Void’s Daughter, non avevo mai potuto esprimere questo mio “lato” di fare musica che, almeno inizialmente, era nato quasi in forma cantautoriale, dove, cioè, i pezzi nascevano solo per voce e chitarra, per intendersi. Quando quest’esigenza si fece più forte, fu allora che coinvolsi mio fratello Marcello come chitarrista e alla batteria mio cugino Emiliano ( il trio “Franco” come venivano affettuasemente chiamati dagli amici n.d.a) con cui avevo già avuto altre esperienze musicali precedentemente. Tutto questo intorno all’inizio del 1995 e pensa che nei primi mesi, un po’ sulla scia dell’unpluggedmania dell’epoca, provavamo e suonavamo solo con strumenti acustici. Del resto la maggior parte dei pezzi stessi erano nati in quel modo e per noi era stato naturale eseguirli così. Poi, dopo la prima esibizione dal vivo, in modo spontaneo decidemmo di usare chitarre elettriche e distorsori, riarrangiando le canzoni ma tutto in modo graduale e senza alcuna forzatura.
· Perché avete chiamato la band “La Figlia del Vuoto” ? C’era un concept particolare dietro al vostro monicker ?
Sai, avendo vissuto fino all’età adulta - che io intendo intorno ai vent’anni - in un posto come Sarno, dove, con il passare degli anni, i dubbi e le ansie sul proprio futuro si fanno sempre più pesanti e guardando in modo obbiettivo la moltitudine di ragazzi che affollavano i vari posti di ritrovo ti viene da pensare che fine mai farà questa generazione nata dietro l’illusione di infinite promesse mai mantenute fatte già ai nostri padri ed ai padri dei nostri padri? Già il fatto che in tanti hanno scritto nel proprio destino di doversi trasferire altrove per sbarcare il lunario ti dice che dietro di noi abbiamo sempre avuto il nulla sia a livello istituzionale che sociale, mentre il sistema ti impone soltanto modelli da seguire edonistici e consumistici come unica ragione di vita, nient’altro che il “vuoto”, appunto. Per cui la nostra, come del resto anche le altre generazioni a seguire – visto che nel frattempo niente è migliorato, anzi, tutt’altro -, ne è figlia, “figlia del vuoto”…
· Quali erano le band che maggiormente influenzarono la vostra proposta ? E’ vero che eravate ispirati dalla scena Grunge di Seattle ( Nirvana , Pearl Jam , Soundgarden etc.) ?
E’ innegabile che il fenomeno del cosiddetto Grunge sia stato un fatto epocale e che tutta la musica, dopo quella rivoluzione non sia stata più la stessa: i vari crossover si sono susseguiti vertiginosamente e tanti confini che esistevano all’interno del rock stesso sono scomparsi. Temporalmente i Void’s Daughter sono nati ormai alla fine dell’hype mediatica di questo fenomeno, cioè tra fine ’94 ed inizio ’95, dove già Green Day e Offspring con il loro neo punk rock erano i nuovi idoli del momento. Diciamo che del grunge noi abbiamo condiviso la forma, la modalità di arrangiare le canzoni, proponendo nient’altro che l’hard rock più classico in chiave moderna, cioè “contaminato” con il punk, il metal e la new wave - senza però riproporre l’estetica di nessuno di essi - e ripescando addirittura elementi dal Garage rock degli anni sessanta, il tutto amalgamato e suonato generalmente in midtempo. Le nostre ispirazioni sono state molteplici: prima tra tutte il disagio di cui ti ho parlato prima e poi la mia stessa estrazione musicale così varia che solo per farti un elenco ci starei delle ore, mentre, del panorama grunge, che va ben oltre Seattle essendo geograficamente molto vasto e sfaccettato. Indicherei gli Alice In Chains, uno dei gruppi assolutamente più geniali e tuttora imitatissimi sia a livello musicale che vocale, visto che i cloni del povero Layne Staley non si contano più, poi citerei nomi come Green River, Pearl Jam, oppure i Mudhoney ed infine assolutamente gli Anastasia Screamed. Comunque nella nostra musica si avvertono echi di molte proposte musicali... addirittura il blues, mentre, per quanto riguarda le sonorità, abbiamo sempre ricercato timbriche molto distorte e fuzzy da contrapporre anche ad atmosfere non propriamente tenebrose: ho sempre amato la distorsione “a motosega” degli Entombed, ad esempio, oppure, per citare un nome storico, il sound dei Blue Cheer.
· All’epoca produceste un demo di pezzi vostri. Come li desciveresti? Di cosa parlavano i testi?
A fine 1995 registrammo alcune delle nostre canzoni per partecipare alla selezione di Arezzo Wave da cui fummo, ovviamente, esclusi subito dopo la prima prova, per cui non si trattava di un demo vero e proprio ma soltanto di una “traccia” da dare ai selettori per lasciare loro capire cosa più o meno fosse la nostra musica. Tornando ad oggi, inoltre, devi sapere che da qualche anno ho lavorato su tutte le nostre registrazioni, le ho integrate con le parti mancanti e le ho praticamente portate alla loro forma finita. In più, anche se il gruppo almeno finora non è più in attività, ho proseguito a comporre e registrare altro materiale nei ritagli di tempo che ho, visto che, purtroppo, non sono un musicista di professione, cercando di preparare un lavoro “compiuto” che manderò un pò in giro e chissà...Per quanto riguarda i testi delle canzoni, essendo parecchi stati scritti di getto, sono perlopiù descrizioni molto intimistiche ed a tratti oniriche di stati d’animo, sentimenti, ansie esistenziali e paranoie varie...
· Come era la situazione concerti in quel periodo e come si prospettava l’opportunità di suonare a Sarno e dintorni a metà anni novanta? C’erano locali idonei?
I concerti? Ah!...Sì, abbiamo partecipato a delle manifestazioni musicali in alcune occasioni sia a Sarno che nei comuni limitrofi dove a volte eravamo assolutamente fuori contesto ed altre, quando semmai la cosa era organizzata tra gli stessi gruppi partecipanti – ne ricordo una in particolare: “Il rumore delle idee”, nel ‘95( Svoltosi all’interno del plesso scolastico della De Amicis e a cui parteciparono altre band locali. Insomma un mini festival rock purtroppo mai ripetutosi n.d.a.) -, allora ci si riusciva ad esprimere sul palco con tranquillità ed a divertirsi. Poi, cercare di esibirsi per il nostro gruppo è sempre stata un’esigenza ed insieme un problema anche perché, essendo ancora tutti senza un lavoro all’epoca, andavamo in cerca di un ingaggio per qualche serata nei pochi locali della zona dove si poteva suonare dal vivo, chiedendo un piccolo compenso a fine concerto che a volte facevamo fatica a riscuotere. Ricordo che uno dei locali dove eravamo un pò di casa era il Velvet a S. Marzano che tra l’altro non esiste più già da molti anni mentre quello dove fummo davvero accolti bene e riuscimmo a fare una buona esibizione fu un pub a Boscoreale di cui non ricordo più il nome: pensa che per la gioia e la tensione al tempo stesso mi presero delle fitte lancinanti allo stomaco che quasi mi impedirono di andare avanti nel concerto...Inoltre, in ogni esibizione, sceglievamo una scaletta che spesso veniva modificata a secondo dello stato d’animo e della serata, considerando anche il fatto che tra i pezzi che provavamo regolarmente inserivamo delle jam improvvisate partendo da un riff o da un rullo di batteria a caso...
· Nel lontano 1996 c’era una piccola scena musicale a Sarno? Quali gruppi esistevano oltre a voi?
Non c’è mai stata una vera “scena” musicale a Sarno, ma è vero che c’erano, come penso ci siano ancora, tanti ragazzi che avevano messo su dei gruppi dove si divertivano a fare cover di classici del rock o della band del momento: noi eravamo gli unici a presentare un repertorio originale insieme a qualche cover rivista e corretta di Kiss, Black Sabbath, Pearl Jam, dei Nymphs o addirittura Ben E. King! C’era, invece, qualche buona band nei dintorni di Sarno come gli Atarassia, i Cyb o i Malatia (ciao, Paolo!!!), questi ultimi tra l’altro so che sono ancora in attività...
· Ma c’era curiosità intorno alla vostra band oppure vi prendevano per un gruppo di “ folli sognatori “? Che ne pensavano i vostri genitori?
Ovviamente, dopo un pò di esibizioni si cominciava a vedere un piccolo anche se non assiduo seguito di aficionados e, comunque, già il fatto stesso di mettere su una rockband la dice lunga sul fatto di essere un pò sognatori, o no? E poi soprattutto in famiglia, caro Eduardo, non è che si facciano i salti di gioia nel vedere i propri figli “perdere tempo” a strimpellare uno strumento anziché studiare o lavorare!!!
· Grazie amico mio. Lascio a te le ultime parole…
Sono io che ringrazio te per questa chiacchierata e come ti ho detto prima non è improbabile che tu prossimamente senta parlare dei Void’s Daughter anche se non più a Sarno, non vivendo più qui da molti anni e forse con altri elementi in organico ( Sante parole! N.d.Edu.) Ciao e un saluto particolare a tutti i lettori del tuo Blog.

sabato 14 marzo 2009

QUANDO RADIO ANTENNA SARNO ERA ROCK!!!

Una premessa oserei dire doverosa: questa intervista con Giancarlo Scoppetta, ( mio attuale partner radiofonico su MOSHPIT) una persona con cui condivido da anni un’amicizia legata a doppio filo con la passione per la musica, si è svolta a casa mia in una domenica mattina che ricorderò a lungo. Ascoltare dalla sua stessa voce storie e aneddoti di un periodo così magico e speciale mi ha provocato sentimenti forti e contrastanti. Prima di tutto una sana invidia per non aver fatto parte di un progetto così lungimirante e unico nel suo genere da non riuscire ad avere un seguito . E poi un misto di rabbia e malinconia poiché certe esperienze dovrebbero creare un ponte tra generazioni diverse ;una strada maestra che sia percorribile anche da quelli che verranno poi .Eppure dopo tanta fatica e tanto coraggio di intenti tutto è si è perso in un triste dimenticatoio.
Ma lasciamo che il nostro nobile interlocutore ci racconti questa bellissima storia finita, ahimè, troppo presto:
Ciao Giancarlo. Cosa ricordi dell’esperienza da rock dj a Radio Antenna Sarno?
Ovviamente è stata una bellissima esperienza, anche perchè ero molto giovane avevo all’incirca vent’anni, peccato non l’abbia più ripetuta, in quanto l’emittente dopo poco tempo chiuse i battenti. Potevo tentare altrove, ma in quel periodo pensavo allo studio come impegno primario. Fà piacere però essere stato uno dei primi nella nostra zona a fare quel “tipo” di programma, fuori dai canoni del tempo. Il rock, in tutte le sue forme era un genere di secondaria importanza, quindi il mio programma era ritenuto “alternativo”. C’erano però altri programmi, uno dei quali potrei definire “antesignano” di un tipo di conduzione che oggi va per la maggiore. Si chiamava “Tutti Al Muro”. Era condotto da Giovanni Buonaiuto e Giacomo Bello. La prerogativa era il contatto diretto con il pubblico da casa, che ignaro diventava “vittima” delle burle dei conduttori. Proprio come oggi fanno i maggiori NetWork in Italia.
Come si chiamava il tuo programma? Quale genere di musica passavi?
Il titolo del primo programma era ROCK STORY, in collaborazione con l’amico Gianluigi Ferrara. Si parlava, come si evince dal titolo, della storia del rock, (Hendrix, Zeppelin, Deep Purple etc.). Il secondo programma invece si chiamava “WILD SIDE” ideato e condotto solo dal sottoscritto. Il titolo era ispirato da una famosa canzone degli americani Motley Crue, che diventò anche la sigla ufficiale del programma. Lo scelsi perché la reputo ancora oggi, il pezzo rock duro per antonomasia.
Visto che parliamo dei “lontani anni 80” penso che non fosse facile trovare il materiale riguardante un tipo di musica tanto distante dal gusto delle masse. Come organizzavi le ricerche?
Innanzitutto prendevo spunto dalle notizie e dalle recensioni dalle riviste del settore (Rockerilla, il mitico H/M et similia). I dischi li “compravo” invece alle Messaggerie Musicali di Sarno.
Com’era il vinile? (n.b. parliamo dei 33 giri e affini) Hai malinconia dei vecchi metodi di ascoltare e reperire musica?
Il vinile era ed è ancora molto affascinante. Aprire la pellicola protettiva era come effettuare un rito magico; estrarre il disco dall’interno, e porlo sul piatto con cura maniacale (c’era sempre la paura di graffiarlo) provocava brividi di attesa. Non ti dico cos’era il fruscio della puntina sul vinile, pura poesia.
Qual’è stato il gruppo che hai fatto ascoltare di più durante la tua trasmissione radio?
Ovviamente i KISS. Avendo l’intera discografia erano quelli
che passavo più frequentemente.
Quali differenze riscontri tra la scena musicale di 25 anni fa e quella del nuovo millenio?
Non basterebbe un giornale intero per raccontarlo. Però ti posso dire che l’atmosfera che si respirava negli eighties non potrà mai più tornare, anche se, un ritorno ai “vecchi tempi” lo si riscontra nelle sonorità di alcune nuove bands. Dobbiamo fare i conti con lo scorrere del tempo ed il relativo cambiamento dei costumi. La musica di conseguenza ne rimane influenzata.
E a Sarno oppure nei dintorni c’era qualche band valida da poter far conoscere ai tuoi ascoltatori?
Voglio fare due nomi su tutti, Malicious Unconscious (Max Franco e Giovanni Orza), e i postumi Void’s Daughter (Max, Marcello ed Emilinao Franco). ( Ne riparleremo presto. Nd. Edu)
Giancarlo sei ancora interessato alla musica dopo così tanto tempo? Cosa fai adesso nella vita?
E’ scontato, ora faccio il Rock DJ con te nel nostro nuovo programma, MOSHPIT, di cui sono enormemente fiero ed entisiasta.
Nel frattempo ho messo su famiglia. Sono padre di due splendide bambine, che già dalla loro tenera età mostrano passione per la musica.
Ti consideri un “pioniere” di un genere di musica che ora ritroviamo anche in classifica (vedi Linkin Park , Iron Maiden etc.) nonchè seguita da milioni di ragazzi in tutto il mondo? Prima era lo stesso?
Gli aficionados sono per fortuna sempre in aumento rispetto agli anni ottanta, anche grazie ad internet ed altri mezzi di comunicazione molto più evoluti. Non mi considero pioniere di alcun genere, però se posso mandare un messaggio ai più giovani, dico loro di essere mentalmente quanto più aperti possibile e non limitarsi a pochi generi musicali. La musica è bella in tutte le sue forme.
Se potessi dare un consiglio ad un giovane che intraprende la
strada del rock dj, cosa gli diresti?
Sia chiaro! E’ un campo in cui non ci sono facili guadagni,
quindi è fondamentale metterci soprattutto il cuore e la passione.
Diventa molto più gratificante di qualsiasi cifra economica.
E’tutto! Ti ringrazio tanto per la tua disponibilità e per averci aperto le porte dei tuoi ricordi. Un’esperienza fantastica
A te le ultime parole…
Caro Edu, non posso che ringraziarti infinitamente per questa splendida chiacchierata.
Invitiamo tutti i tuoi lettori a seguirci nella nostra nuova avventura radiofonica chiamata MOSHPIT. Non ve ne pentirete.
Ogni Giovedì sare alle 21 su:
wwwradiobasegro.it
Rock and roll all nite, and party every day!!!

GIORGIO FALETTI, "IO UCCIDO"

Giorgio Faletti – Io uccido
( Ed. Baldini Castaldi Dalai, 2002)



Recensione un pò datata ma che riporto per dovere di cronaca nel nuovo blog.
E’ stato definito “il caso letterario del 2002”. Il critico letterario Antonio D’Orrico non ci ha pensato due volte urlando ai quattro venti che “Giorgio Faletti è il più grande scrittore italiano” ( l’ha sparata un po’ grossa!!! Ongaro o Buzzati allora sarebbero dei Padreterni della letteratura).
Dulcis in fundo uno dei miei scrittori preferiti in assoluto ( Jeffery Deaver) che lo elogia in più di un’occasione e non solo in quarta di copertina.
Parliamo del libro.
Praticamente un romanzo uscito in sordina senza alcuna aspettativa da parte sia dell’editore che dello stesso Faletti che ricordiamo faceva ben altro, artisticamente parlando, ma che nel giro di pochi mesi ( e attraverso un fitto passa parola dei lettori veri detentori della vita o della morte di un libro) ha battuto ogni record di vendita in Italia imponendosi in seguito anche, all’estero. In effetti senza grossi proclami ( come quelli di prima) posso affermare che per chi ancora non si è cimentato ( e penso che ormai siano in pochi ) si tratta di un lettura scorrevole e molto, molto godibile. La trama è ben strutturata e sufficientemente misteriosa. Inoltre i continui riferimenti alla musica creano una sorta di colonna sonora “nascosta” tra le pieghe del libro ( Led Zeppelin, Steppenwolf etc.) che mi ha convinto. Si sa io ho un debole ancora adolescenziale per il rock e se uno scrittore riesce a farcelo entrare alla grande nei suoi scritti ( vedi Danilo Arona nel Segretissimo Finis Terrae) allora vado in brodo di giuggiole.
I vari personaggi ( tra cui l’assassino psicopatico, brutale e violento, un must in ogni thriller che si rispetti) sono tratteggiati con realistica precisione.
Il Poliziotto disilluso ma capace è un classico della Letteratura Gialla ma in questo contesto mi è sembrato che si muovesse nella trama in maniera fluida.
Il finale è come si rispetti pregno di colpi di scena.
Lo so, molti penseranno che mi sono bevuto il cervello o che mi sto vendendo al mainstream.
Non me ne frega un cazzo!
“Io uccido” mi ha convinto.
Faletti mi piace.
Ci vuole coraggio a imbarcarsi in una nuova carriera artistica dopo quella ( piena di successi) di comico e musicista.
Lo ha fatto con testardaggine e un po’ di follia.
I risultati lo hanno premiato.
Perché signori, i lettori (se comprano un libro a vagonate) , hanno sempre ragione.
Meditate…

Disco consigliato in sottofondo: Slayer, “Seasons in the abyss”( 1990)

venerdì 13 marzo 2009

DA'NAMASTE, "PRIVA DI RILIEVO" ( DEBUT CD)

da’namaste – Priva di rilievo ( cd autoprodotto 2003)

Al di là delle disquisizioni puramente tecnico/compositive, “Priva di rilievo”, primo cd autoprodotto dei da’namaste ( ensemble dell’area cittadina Nocera inferiore/Pagani) porta in superficie un pregio oserei dire fondamentale: quello di saper catturare immediatamente l’attenzione con un suono epidermico, laterale e difficilmente inquadrabile.
Struggente e a tratti dolorosamente catartica la voce del chitarrista Francesco Tedesco dipinge, nella song d’apertura “Raccontami una fine”, un paesaggio arido e desolato fatto di solitudine umana e insensibilità urbana.
Nel contesto rumorista del pezzo, ispirato fortemente dai primi Sonic Youth( Band noise rock americana), la seconda voce di Teri ( sempre chitarra) sembra quasi dare un tocco intimamente caldo là dove dovrebbe esserci solo la freddezza e il disincanto.
Molto più complesso e sperimentale è “Campi” che si segnala ancora per il doppio cantato di Francsco e Teri, i quali svolgono un ottimo lavoro interpretativo sopra una base di chitarre dal forte appeal onirico/ industriale.
“Ozi” si presenta con una melodia quasi orientale diventando via, via sempre più mimalista e amara ( ascoltate le parole di Francesco). Il pezzo poi improvvisamente si anima lanciandosi in una jam di suoni e influenze diverse.
“Un grido” è un’altra lunga canzone (ben sette minuti e più) dove si sente fortissima ma mai ingombrante l’influenza dei nostrani Merlene Kuntz. L’emotività del cantato e della visione ad esso connessa lascia l’ascoltatore quasi paralizzato di fronte un’esperienza così unica e destabilizzante( anche se avrei voluto dire di nuovo catartica…). Dopo un breve interludio ( sognante nel suo mesto incedere comunque meccanico e industrialoide ) è l’ora di un nuovo viaggio attraverso “Una altro vuoto”, la song più classicamente rock di tutto il cd. Psichedelia purissima ( gli Isis dell’ultimo splendido cd mi vengono prepotentemente in mente…) che trasporta il cuore e la mente verso luoghi altri ( o altre dimensioni se volete), lontani anni luce dal paesaggio apocalittico inizialmente delineato dai nostri. Questa è la grandezza dei da’namaste. Come un buon libro, o un quadro dai toni e colori forti e avvolgenti, la loro musica và ascritta di diritto nel novero della grande arte espressiva. E pazienza se poi non riusciremo a capirli mai fino in fondo…

LORD'S ROCK, "GOODBYE P."

Lord’s Rock – Goodbye P. ( Maffucci Edizioni Musicali )

Il nuovo cd dei Lord's Rock, si candida subito come un’uscita imprescindibile, o meglio come si dice in inglese “Buy or die”.
Dedicato interamente ad una ragazza scomparsa in maniera prematura “ Goodbye P.” è la trasposizione in musica ( secondo il sottoscritto nella forma del concept album) di un distacco traumatico e di tutto il dolore che ad esso è inevitabilmente connesso. Ma soffermiamoci per un attimo sui primi due pezzi: Il primo, “He wents to live with you” possiede la struggente malinconia acustica dei migliori Simon& Garfunkel mentre il secondo “ Believe him” acquista, di slancio, maggior vigore anche se è sempre legato a doppio filo con atmosfere intimistiche e folkeggianti. Un forte flavour anni settanta si respira invece nella languida “Leave this guy” dai toni sommessi e a tratti esitanti. E’ ancora sofferenza e rimpianto con “ Don’t go away” ( il titolo è emblematico in proposito) ma l’hammond all’improvviso irrobustisce il sound mentre la voce di Salvatore Allocca recita catartico una storia come mille altre su questa terra eppure così unica nel dolore di chi la racconta. Bellissimi gli inserti di sax i quali donano ancora più atmosfera al pezzo. Romantica e solare è invece “ The sunflower” che spezza il mood malinconico del disco aprendo la seconda parte ( o il secondo lato come si diceva un tempo per i vinili…) la quale si presenta prima con la Dylaniana “ A song…” e poi con la robusta e (finalmente!) rockeggiante “Fat but nice” figlia dei Doors più fumosi e maledetti. Bella prova di Salvatore Rainone alle pelli. Dopo la strumentale “Death” e la soffusa “ Close your mind” è di nuovo dolce/ amaro rimembrare nella preziosa “Don’t tell me a nothing”.
Un caleidoscopio di sensazioni diverse e profonde.
Il gran finale è consegnato nelle mani dell’ascoltatore, oramai assuefatto, attraverso la splendida e a tratti radiosa “You” ( molto Dylaniana anche questa), song che sprigiona letteralmente un messaggio di speranza e di coraggio con le sue atmosfere solari e sognanti. Infine è solo la pace e il conforto con la conclusiva “Good Night” dove il lavoro corale della band tocca il suo culmine in fatto di ispirazione e composizione.
Cercateli.

Kernel Zero, "3 hours of silence before death" (Debut Cd)


Kernel Zero – 3 hours of silence before death ( Crossfire records 2006).


I Kernel Zero, band Metal/Core salernitana, sono una garanzia in fatto di prestazioni dal vivo e impegno profuso sul palco. Mancava il riscontro definitivo: la pubblicazione del nuovo cd. Finalmente è uscito. Ed è una mazzata tra capo e collo. C’è tantissimo groove nel modo di comporre dei Kernel e i suoni di chitarre sono pesanti fino allo sfinimento. Ma non è violenza cieca e fine a stessa. I pezzi sono strutturati in maniera ottimale non annoiando anzi catapultando l’ascoltatore in un mondo alieno ma al contempo estasiante. Dopo un breve intro di tastiera e effetti vari i nostri partono subito in quarta col pezzo più rappresentativo del cd “ New World” molto tecnico e dalle atmosfere apocalittiche. Alla velocità iniziale si passa a un rallentamento generale al limite del doom dove i kernel stemperano la loro furia compositiva a tratti annichilente. Stessa cosa con “Unbroken Memories” pezzo fortemente influenzato in egual misura dal metallo più estremo e la rabbia primitiva dell’Hard Core. “The Crack of doom” si segnala invece per la dinamicità dei refrein di chitarra che a tratti sfiorano la freddezza del genere industrial. “Bruised” è lo spartiacque del cd. Un arpeggio malinconico lascia nell’ascoltatore un senso di fine imminente e di rassegnazione ma le chitarre sono sempre in agguato anche se stavolta creano un mood quantomeno desolante e disincantato. Ma non è ancora la fine. Ci pensano le due ultime track a riportare la macchina bellica dei nostri sui binari
della violenza allo stato puro. Anche qui ho notato un non celata ammirazione dei nostri verso sonorità di scuola death svedese ( At the Gates, The Haunted…) che arricchiscono il suono di armonie a tratti devastanti. Se dovessi creare un titolo per spiegare la loro proposta dieri: “L’arte della guerra”.
Una certezza: i Kernel Zero sono proiettati verso un futuro ricco di successi.

giovedì 12 marzo 2009

DANILO ARONA - SANTANTA + LA CROCE SULLE LABBRA (PERDISA /SEGRETISSIMO - 2008)

"SANTANTA"Danilo Arona

Babelesuite - Collana diretta da Luigi Bernardi

Gruppo Perdisa Editore 2008


“LA CROCE SULLE LABBRA”
Danilo Arona, Edoardo Rosati

Segretissimo di Giugno 2008 n. 1540 Mondadori Editore.

“ Apocalisse prossimo venturo”.

Nella metà degli anni 90 Danilo Arona ed Edoardo Rosati mettono mano ad un romanzo per la collana Segretissimo Mondadori.
Il tiolo è :”La croce sulle Labbra”.
Siamo in piena paranoia da fine millennio. Il timore di una catastrofe tecnologica (il cosiddetto “Millenium Bug”) con conseguenti ripercussioni sull’economia mondiale, fanno tremare industriali, multinazionali e politici.
Ci si mettono anche studiosi religiosi e di antichi misteri, riesumando dalla polvere del tempo visioni e manoscritti tratti da Nostradamus, Fatima, la Profezia di Malacchia etc.
Un forte senso di misticismo e di ineluttabile “fine” permea ogni estrinsecazione del vivere “moderno”.
Danilo Arona non è nuovo al richiamo delle serene dell’apocalisse. Semi malevoli e putridi erano già stati sparsi in altri suoi romanzi ma stavolta rompe ogni indugio e avvalendosi di un medico e divulgatore scientifico ipotizza una forma diversa ma altrettanto letale: un misto di culti misterici, iconoclastia caraibica e pestilenze virali. Il suo nome è Exù.
Il tutto viene trasportato da dei reietti, come tanti che affollano le nostre strade, in una Milano, senza identità né confini,( il termine “globalizzazione” non ancora abusato dai media di quel periodo assume già tratti altamente negativi) dove i personaggi che la abitano diventeranno gli inevitabili comprimari di un’ambientazione alla Romero.
Oppure andando ancora indietro nel tempo il delirio di Umberto Lenzi, intitolato “Incubo sulla città contaminata”(1980)
Un senso di oppressione e di morte aleggia continuamente su ogni pagina del libro
A causa di scelte editoriali quantomeno sorprendenti ( anche se un attento critico può vederci un significato “altro” in questa decisione) il libro vedrà la pubblicazione solo nel 2008.
Nel frattempo Arona ritornerà nella sua Bassavilla , maturando una scelta stilistica affine con il seguente Finis Terrae ( Segretissimo , Settembre 2007) , il quale partendo da una prospettiva, post 11 Settembre, quindi diametralmente opposta ( l’apocalisse è già tra di noi e ha la forma a tentacoli del terrorismo globale e del fanatismo religioso), produrrà alcune tematiche cardine della sua letteratura.
Tra queste, il grigiore del provincialismo nostrano, la desolazione di autostrade e autogrill fuori mano, rifugio di anime perse e di minacciosi figuri, o ancora una dimensione altamente negativa e demoniaca pronta ad influenzare le nostre azioni trasformandoci in medium dell’inferno.
Con Santanta, pubblicato immediatamente dopo La Croce sulle Labbra, il cerchio inevitabilmente si chiude.
Cambia l’ambientazione ma non la tematica di fondo:
in una Hollywood vuota e apparentemente luminosa si prepara un nuovo Armageddon che avverrà attraverso due dimensioni antitetiche ma nello stesso tempo concatenate. Una terrestre e materiale (il Santa Ana, ribattezzato dagli indiani del Mojave Santanta, vento torrido e violento che porta con sé incendi e follia ) e una ultraterrena e nascosta (un demone scaturito dal suicidio di Giaguaro Seduto, capo di tutte le tribù dei Mohave nel 1800).
Brividi assicurati.
Insomma un romanzo breve ma intenso che può considerarsi già un classico della produzione dell’autore alessandrino.
Intanto sembra già confermata la pubblicazione di Finis Terrae 2 nuovamente con l’ausilio artistico/scientifico del Dottor Edoardo Rosati.
Non oso immaginare cosa porterà il vento ( creativo ) stavolta.
Sperando che non sia quello del Mohave.


Disco consigliato in sottofondo: Atavist, "II - Ruined" ( 2007)


Il Sito ufficilae di Danilo Arona:

Lothlòrien, "Lothlòrien" ( 2006 - Cd autoprodotto)


Di solito non mi faccio travolgere facilmente dalla musica di una band emergente, mantenendo invece un atteggiamento alquanto distaccato e iper-critico, ma "Lothlórien" (2006), prima fatica discografica dei salernitani Lothlórien, è qualcosa che tocca le corde più nascoste dell’animo umano trasportandoti per incanto in una dimensione fatta di sogno e di veglia.
Il riferimento nel nome della band al capolavoro dello scrittore J. R. Tolkien “ IL Signore degli Anelli” ne è una prova ulteriore.
La musica dei nostri è dolce, malinconica, onirica, fantasiosa, con un flavour anni 70 che la pone in antitesi con tutto quello che c’è oggi in giro nella scena rock italiana.
Questi ragazzi hanno le idee chiare, hanno carattere.
Il pezzo di apertura “Come le foglie” ( ormai penso un classico della band dal vivo) subito si annuncia con un riff di chitarra ispirato direttamente dalle migliori rock band dei seventies. Ma quando sei convinto che il pezzo seguirà un percorso ben preciso esso si trasforma in pura malinconia, a tratti catartica nel testo, dove il singer Lucio Auciello ci trasporta in un viaggio ricco di suggestioni attraverso un canto sofferto e intimista che mi ha riportato alla mente lo sfortunato cantautore sassuolese Pierangelo Bertoli.
L’atmosfera diventa tesa secondo dopo secondo come se volesse trasfigurare all’improvviso il dolore in rabbia per poi riportarlo nuovamente verso lidi di pace e conforto dove il sussurro flebile di Lucio sembra quasi invitarci ad un sospirato oblio dei sensi.
“Il colore dell’iride”, altra poesia in musica, subito si schiude con un arpeggio soffuso dal sapore ancestrale rotto però improvvisamente da un refrein di chitarra che immediatamente si stampa nella mente senza più abbandonarla.
Lucio stavolta sembra quasi recitare le parole di questa canzone struggente anche se il lavoro di tutta la band in fase di esecuzione e arrangiamento è di notevole qualità ( ottimo il lavoro corale di tutta la band).
Azzeccate e mai noiose o ridondanti sono le soliste di chitarra ( opera in gran parte di Giuseppe Frana ex prima chitarra ormai ) che dimostrano per chi ancora non lo avesse capito, il grande gusto delle melodia da parte del gruppo.
Un timido organo ad opera di Ilario d’amato ci trasporta verso la traccia seguente intitolata “L’uomo delle stelle” ( che abbiano pensato all’omonimo film di Giuseppe Tornatore?) dove la melodia acustica si trasforma in elettricità e feeling con l’organo che segue a ruota tutti gli altri strumenti; ed è uno spasmodico rincorrersi di suoni ed emozioni differenti con le chitarre sempre a farla da padrone.
Ho notato molteplici influenze ( certi Timoria, certi Afterhours, i Pearl Jam più duri e diretti…) ma la personalità dei nostri è fuori discussione.
Di sicuro il pezzo più tecnico e cangiante del cd.
“Il Preludio“ ci riporta sul binario della malinconia e del rimpianto. L’arpeggio iniziale mi ha riportato alla mente sia il prog/ folk anni 70 dei Camel sia influenze molto più attuali come quella dei prog metallers Opeth. Ilario D’amato dipinge scenari di depressivi paesaggi autunnali con un suono di pianoforte soffuso e a tratti sofferente.
Le chitarre, però, sono ancora in agguato irrobustendo il pezzo e accentuando le dolorose rivelazioni ( forse personali!?!) del singer.
Anche in questo brano la parte centrale è caratterizzata da un virtuosismo chitarristico fuori dal comune che lentamente lascia il posto ad un preludio ( appunto) fatto ancora di oblio e forse di sonno ristoratore.
E’ da precisare, infine l’ottima e tecnicissima prova generale della sezione ritmica composta da Mario Villani e Gennaro Galise.
Una rinascita dei sensi intorpiditi e stanchi.
Un viaggio nei ricordi e nella poesia.
La riscoperta di un “giardino dei fiori”(Titolo del primo demo della band) che dovrebbe sbocciare nell’animo di ogni uomo o donna.
Questo dovrebbe essere la musica.
Questi sono i Lothlórien.

Contatti:




Azzurra Mangani, "Per Elisa"

Titolo: Per Elisa
Autore: Mangani Azzurra
Editore: Ibiskos Editrice Risolo 2008
isbn 978-88-546-0484-1

Sinossi.
Che cosa sarebbe accaduto se…La signora Giannini, definitivamente perduta fra i ricordi del passato ed i rimpianti, continua ancora a domandarselo. La sua lucidità riemerge improvvisamente durante la scrittura di una lettera, abbozzata con le ultime forze mentre giace in una clinica, gravemente malata e mentalmente instabile; la lettera è rivolta ad una donna, di cui la signora ripercorre l’adolescenza e la scomparsa, confessandole, per la prima volta, i suoi segreti più intimi.Una volta terminata la lettera, la donna ripiomba nel mutismo e nella rassegnazione, consegnandosi nuovamente a tutti quelli che l’accudiscono, impietositi dai suoi deliri. L’unico uomo a poter leggere quelle carte, scioccato dal contenuto, decide di ignorarle.Quella lettera, ultimo e dolce grido di aiuto, ed ultima richiesta di perdono, è stata forse consolatoria, ma inutile.Se solo Alessandra fosse ancora viva, sarebbe diverso; se solo potessero incontrarsi ancora, dopo trentadue anni dal primo giorno, potrebbero finalmente spiegarsi e comprendersi. Se solo…

Recensione.
Come diceva il noto cineasta francese Francoise Truffaut: “il critico (o chi gioca a farlo, come me…) è colui che rende conto del suo piacere.” Mai citazione fu più appropriata per raccontare il “piacere” che ho attinto nell’immedesimarmi completamente nei personaggi creati ad arte dalla giovane autrice Azzurra Mangani. Perché nel racconto di Azzurra vita e scrittura si legano indissolubilmente ( non so fino a che punto in maniera autobiografica, interrogativo non da poco) e il lettore non può che fare i conti con uno sfondo narrativo così forte e denso di passione.
Almeno io ho ritrovato alcuni miei “demoni personali” nelle lettere scritte dalla Signora Giannini e credo fermamente che quando una persona , confrontandosi con un libro, vi trova qualcosa di sé nei luoghi o nei personaggi, lo scrittore diventa il “medium” delle emozioni e dei ricordi più reconditi. Ruolo svolto egregiamente dall’autrice. Ammetto che mi ero posto in maniera diversa soprattutto all’inizio . Leggendo la sinossi il tema “ epistolare” mi lasciava un po’ interdetto e ipercritico. Tutti (penso) nella nostra esistenza prima o poi abbiamo affrontato le nostre percezioni più nascoste e intime attraverso una missiva. Mettendoci a nudo con un misto di paranoia, ingenuità e sofferenza.
Lo dico perché, in un periodo particolarmente “solitario” della mia breve vita, gli unici miei segni di vita erano, appunto, lettere spedite con frustrazione e sconforto. Insomma la cosa mi toccava da vicino. Azzurra ha raccontato qualcosa di me con il suo libro. E lo ha fatto con una delicatezza e con una ricercatezza al limite della perfezione stilistica. Poche volte mi è capitato un confronto così duro e liberatorio con un libro. Tralasciando personaggi e luoghi che vi invito a scoprire con una lettura personale e approfondita, c’è una parte che mi ha lasciato esangue, con una stretta fortissima al petto. Le pagine in cui la protagonista racconta il rapporto con la madre prima e dopo la su dipartita e una serie di situazioni familiari ed esistenziali sorte immediatamente dopo, è “vita “ vera senza forzature o mistificazioni.
Mi ripeto ( linguisticamente): chi, come il sottoscritto; ha perso una persona cara, con cui ha condiviso una serie incontri/scontri tanto fulminanti quanto vitali, potrà capire la mia disamina.
Che intensità, che “insopportabile” soggettività nello stile di Azzurra.
Meraviglioso/terribile perdersi tra ricordi e fantasia. E poi una sottile atmosfera di disincantato godimento interiore, ove la sofferenza è capace di risvegliarci dal torpore dei sensi.
Infine una azzeccata colonna sonora di artisti e band dignitose a completare il tutto. Se non è ispirazione questa… Consigliato agli amanti delle sensazioni pure.
Per ordinare il libro:

mercoledì 11 marzo 2009

TOOL: CONTAMINAZIONI DELL' A(E)NIMA


I Tool si formano nel 1990 a Los Angeles, California, città che ha dato i natali a band di tutt’altro spessore sonoro ed artistico: tra le tante Guns’n’roses e Motley Crue.
Ma è l’inizio degli anni 90 e il “Grunge” sta sterminando inesorabilmente ogni germe di Hard Rock patinato e pieno di lustrini presente nello stato americano.
Due sono le strade: sciogliersi travolti dall’indifferenza più totale della gente oppure indossare una camicia a quadroni e seguire le orme di chi vende milioni e milioni di copie: Nirvana, Pearl Jam, Soundgarden etc.
Per il quartetto “losangeliano”, invece la realtà è ben più profonda e complessa di quanto possiamo immaginare. Parliamo, infatti. di un’entità aliena a tutto quello che è stato il rock in questi ultimi anni. Un pachiderma informe e inarrestabile di elettricità e melodia che in breve tempo e con pochi splendidi album ha saputo travolgere ogni moda o genere del momento, creandosi un alone di mistero ma anche di culto. Nati soprattutto per volere del cantante Maynard keenan ( personalità camaleontica e dolorosa che ama travestirsi con lunghe parrucche oppure con maschere antigas sul palco) e del geniale chitarrista Adam Jones ( degno epigono dei grandi compositori progressive degli anni 70) debuttano nel 1993, con lo splendido “Undertow”. Inseriti a torto nel filone di Seattle, la musica del quartetto a stelle e strisce risulta invece ispirata e influenzata dal progressive rock di band anni settanta come Rush oppure King Crimson, cosa alquanto inusuale per l’epoca. Epocale la tripletta di pezzi iniziale, (Intolerance, Prison Sex, Sober ) che diventeranno dei cavalli di battaglia per quanto riguarda le esibizioni dal vivo.
E’ la volta, nel 1996 , di “Aenima, altro capolavoro di rock duro e psichedelico, ove le composizioni si dilatano ancora maggiormente creando delle atmosfere sempre in bilico tra luce e oscurità. Addirittura shockanti e onirici sono i video creati a promozione dei brani, dove esseri umanoidi oppure simili a marionette, si muovono su uno sfondo tra sogno ed incubo.
Il nome della band comincia a rimbalzare da un continente all’altro attirando stormi di persone ai loro concerti.
Il successo giunge quasi inatteso da parte dei nostri intaccando il loro spirito ermetico ed empirico.
I Tool decidono di fermarsi.
Dopo un’attesa spasmodica durata oltre 5 anni sarà il turno di “Lateralus”.
L’anima dei Tool è stata finalmente contaminata e il processo di trasformazione ha raggiunto stavolta uno stadio compiuto. Melodie orientali, lunghissimi arpeggi di chitarra acustica, morbose litanie del cantante Maynard , shamano visionario e apocalittico del ventesimo secolo, ma soprattutto la pesantezza elettrica di alcuni brani al limite del metal estremo( tra tutti il pachiderma “Shism” deglo del Doom più funereo), mostrano un volto nuovamente diverso a chi ancora tentava, invano, di catalogarli. Degna di menzione la sezione ritmica ( Paul D’amour, basso, Dannny Carey, drums) che si muove tra un tribalismo post-atomico e la violenza più cieca e subdola
La band si imbraca in un ennesimo tour mondiale.
Inutile dire che sarà un successo dovunque sbarchino
Passeranno altri 5 anni prima di poter ascoltare “10.000 Days” .
Un lungo viaggio lisergico (oltre 75 minuti!), tecnologico e mantrico, verso una dimensione fatta di puro spirito. Gli sviluppi stilistici presenti in “Lateralus” vengono riproposti in modo più maturo ma anche prolisso. L’intensità delle atmosfere dipinte dal virtuoso Adam sono ancora li a ricordarci che seppure il serpente non ha cambiato pelle , il veleno che ha saputo iniettarci poco a poco stravolgerà la mente portandola in un deliquio di visioni e ombre. Inutile e insensato citare un solo brano. L’album va ascoltato nel suo mastodontico insieme, prendere o lasciare! Una cosa è certa : chi ama la musica non può ignorare i Tool.

IL CASTELLO DI SARNO


Inizia con questo Post una nuova rubrica ( forse quindicinale, forse mensile, dipende solo da me) denominata: “Cacciatore di Castelli”.
Il titolo dice già tutto:
sono un accanito visitatore di fortezze e bastioni risalenti al “secolo buio” ( ne ho visti tantissimi e in tutta Italia) e una grande appassionato di Storia Medievale.
Da qui l’idea di parlarvi delle mie peregrinazioni indietro nel tempo tra merlature decadenti e torri diroccate.
Spero possa interessarvi in qualche modo…


Partiamo subito con il primo castello, che poi sarebbe quello del paese dove abito: il Castello di Sarno.Introduco la disamina attraverso le vivaci parole di Camillo Porzio ( uno storico medievale) che nella “Congiura dei Baroni” ci descrive magnificamente il paesaggio: ”è Sarno in su la costa di un monte edificato; soggiacegli nel piano il borgo, e nel più alto giogo risiede la fortezza, che il borgo insiememente con la terra riguarda”.Ovviamente la descrizione di Porzio ci trasporta istantaneamente nel passato. Subito emergono elementi importanti (date , eventi etc.) che vanno ad aggiungersi pezzo dopo pezzo al mosaico culturale sarnese.
I cospicui ruderi dell’antica fortezza, databile intorno al VI seccolo d.c. costituiscono il risultato delle trasformazioni subite nel tempo. I romani formarono , in un primo periodo , costruzioni fortificate denominate “Castrum” a difesa della via Aquilia.
Infatti il poggio del Saretto rappresentava un vero e proprio punto nevralgico per il controllo della valle.
I Longobardi, in seguito, guidati da Zottone ( 571 d.c.), provenienti dai Ducati dell’Italia centro-settentrionale, si insediarono sulle costruzioni preesistenti (non solo la fortificazione ma anche villaggi, stazioni romane etc.).
Il potere longobardo consolidò in tal senso condizioni di progresso e sviluppo generale trasformando Sarno da Gastaldato in Contea.
Dopo il susseguirsi di vari conti , vicende diplomatiche e congiure intestine fu edificata la famosa cinta difensiva. Ma nel bel mezzo di una fase di precario potere politico e militare del Principato di Salerno ( a cui Sarno era annesso), i Normanni , popolazione di origine germanica calarono sulla valle gettando le fondamenta del Regno Normanno , uno stato che si dimostrò molto più unitario e fiorente rispetto a quello Longobardo.
Inoltre venne introdotto il sistema feudale mentre per quanto riguarda le tecniche di costruzione fu adottata l’architettura difensiva” a forma quadrata”già conosciuta in Francia e in Italia settentrionale. Anche le torri edificate su cinte murarie risalenti all’ impero romano assunsero forma quadrangolare. In seguito con l’avvicendamento di alcuni signorotti della guerra tra cui Diopoldo Vohburg, Roberto I , Valfrido e il valoroso Corrado d’Aquino, il castello venne saccheggiato e devastato numerose volte soprattutto dalla potenza Angioina di Carlo I. Iniziò, però, con quest’ultimo una fase di crescita sia sociale che economica in tutto il mezzogiorno.
Sotto Filippo II , figlio di Carlo il Zoppo , già a suo tempo conte di Sarno, il castello fu completamente ripristinato e le torri abbattute e ricostruite con una nuova merlatura nonché riadibite per la difesa. Infine con la “Battaglia di Sarno” tra gli aragonesi e i signori del paese si arriva alla famosa “Congiura dei Baroni”da cui uscì raggiante la figura del conte Francesco Coppola proveniente da un’antica famiglia di Amalfi.
Grazie alla sua potenza economica questi diede una precisa fisionomia strategica al complesso di mura e torri con una nuova edificazione di baluardi difensivi che si adeguavano alle nuove tecniche di guerra.
Credo che il quadro storico possa esaurirsi qui anche perché invece di un’ascesa che caratterizza il periodo da noi riassunto si passerebbe ad una fase di declino culminato nelle due guerre mondiali.
Facendo invece un discorso meramente tecnico si può affermare che secondo i canoni architettonici vigenti un castello non rappresenta soltanto un segno tangibile di un’epoca ormai finita nell’oblio del tempo, ma assurge anche ad elemento di grande valore formale poiché si lega al suolo per il materiale di cui è costruito e si incorpora perfettamente nel paesaggio e nella natura che lo circondano. L’esempio lampante lo abbiamo nella foto allegata al post.
Vi lascio con una considerazione tutta personale: forse mai quelle torri e quelle mura verranno più ricostruite.
Ma le dolci e rassegnate parole di Re Artù, simbolo di una cavalleria e di un modus vivendi caro ai costumi dell’epoca possono almeno consolarci:
“Muta l’ordine antico che lascia il passo ad uno nuovo; questo è il volere di dio e tu non ti devi crucciare”.Ora Artù riposa sulla mitica isola di Avalon; ora il Castello di Sarno, decaduto, con onore, riposa sul placido poggio del Saretto.

martedì 10 marzo 2009

DANILO ARONA - ANCORA IL VENTO PIANGE MARY (PHASAR - 2008)



DANILO ARONA
"ANCORA IL VENTO PIANGE MARY"
Phasar Edizioni 2009

“Ancora il vento piange Mary”, riedizione di una serie racconti pubblicati primieramente nel 2000, al lettore distratto e poco avvezzo agli incubi narrati negli anni dall’autore alessandrino, sembrerà quasi una raccolta eterogenea di storie tra la fiction e la realtà. Non è così.
Il libro si muove su tre binari tematici ben distinti che hanno in comune una sola evidente ispirazione : “la musica del diavolo”, il Rock.
Il primo troncone di storie è decisamente “Bassavilliano” e racchiude “L’olio del morto”, “Codalunga” e “Il Tempo del sogno di Jerry Van Houten”.
Mi soffermo su “Codalunga” in quanto racconto degnamente pauroso e sinistro.
Chi ha letto “Melissa Parker e l’incendio perfetto” (Dino Audino Editore 2007) e si è lasciato trasportare in quella “zona del crepuscolo” delineata con maestria dal nostro Arona ( una mia amica si è rifiutata di leggerlo dopo pochi capitoli, era letteralmente terrorizzata!) di sicuro non potrà che esserne di nuovo catturato.
Autostrada notturna e desolata, uno strano fagotto lasciato in mezzo alla carreggiata e un lugubre autogrill, oasi ambigua e deserta dove il senso di mistero e di paura ti invita a buttarti in auto e scappare il più veloce possibile. Vi ricorda qualcosa? Il pantheon diabolico si completa con un misterioso viaggiatore ( forse donna, forse uomo, di sicuro “non umano”) che ama prendere a bordo giovani autostoppisti. I germi di Melissa, spirito inquieto e deceduto, sono già presenti in questo racconto pronti a scatenarsi
Da menzionare anche “L’olio del morto” dove ho trovato grosse affinità con il Segretissimo “ La croce sulla labbra” ( 2008) .
Il secondo troncone custodisce “Magia di un castello spagnolo”, “La Stanza dei vetri rotti” e “La morte sussurrante”.
Denominatore comune: l’apocalisse
La stanza dei vetri rotti” è il diamante grezzo del libro. Culti millenaristici, specchi come porte aperte verso un’ ignota dimensione di delirio e la minaccia decisiva e costante che se ci sarà un Armageddon, prima di distruggere il corpo dilanierà e torturerà l’anima..
Ritorna uno dei temi portanti della narrativa di Arona: un’apocalisse imminente che avverrà attraverso due dimensioni antitetiche ma nello stesso tempo concatenate:
una terrestre e materiale (pestilenze moderne, venti assassini, terrorismo religioso e globale etc.) e una ultraterrena e nascosta ai più (l’operato di alcune forze negative e demoniache sui nostri destini).
Se vi piaciuto “Finis Terrae” ( Segretissimo 2007) anche qui troverete pane per vostri denti.
Discorso a parte meritano gli altri due racconti dove l’ispirazione storica e oserei dire “politica” fanno sì che il lettore prenda fiato come per guardarsi un attimo indietro e capire che la “fine” e l’ orrore nascono e si rigenerano dall’uomo e dalle sue nefaste azioni.
Infine siamo al fulcro di tutto il libro: il Rock.
Genere da sempre ( secondo certe teste “sante” e moralisti assortiti) in combutta col Demonio.
Arona c’è ne da una prova lampante con il sulfureo” Figlio del Vodoo”, novella realistica e inquietante sulle influenze musicali ed esistenziali del noto chitarrista Jimi Hendrix. ( deceduto alla giovane età di 28 anni per uno strano e tuttora indefinito malore notturno. Chi ha citato Melissa Parker?) oppure getta una lunghissima ombra informe ( e sanguinosa) su un’altra “morte illustre”, quella del cantautore americano Bobby Fuller ( ritrovato morto nella sua auto come “apparente” suicidio. Di nuovo Melissa Parker?).
Chiude questo viaggio, a stazioni, nell’incubo la malinconica ( ma i limacciosi tentacoli dell’orrore sono acquattati vicino al Tanaro) “Ancora il vento urla Mary” che tradisce comunque un ‘inquietudine di fondo: il vento oltre ad urlare il nome di un’anima persa può anche portarci alla follia (Santanta, Perdisa 2008)?

Il sito ufficiale di Danilo Arona: