Come potrete vedere ne è nata una chiacchierata davvero interessante e anche qualche piccola preview.
Buona lettura!
Premettendo che credo abbiate fatto un lavoro superlativo con questo saggio vi chiedo: c’è un aspetto dell’archetipo “Zombie” che in qualche modo vi è sfuggito a stesura ultimata?
D. A. Francamente non ti so rispondere. E con assoluta sincerità – parlo a titolo personale -, se qualcosa mi è sfuggito in relazione alla pertinenza della mia parte introduttiva, non mi sento colpevole di nulla. Percepisco il nostro lavoro come un saggio pieno di novità e di proposte di lettura altrettanto innovative. Posso dire senza remore: ma chissenefrega se ci siamo dimenticati qualcosa?
G.S. Sicuramente c’era molto altro da dire. Mi sono rimasti gli appunti nel cassetto sulla relazione tra vita e morte, e quindi sulla “nonmorte”, nella bioetica. Pensa allo struggente caso della povera Eluana Englaro in Italia, utilizzato cinicamente dal governo Berlusconi e ricalcato, anche nei dettagli, sulla campagna pro-life che era stata ordita qualche anno prima negli States dall’amministrazione di Geore W. Bush contro il corpo di Terri Schiavo. Anche quello è un caso in cui la vita e la morte e lo spazio incerto che gli si frappone, servono a stabilire relazioni di potere. Inoltre, avrei voluto approfondire meglio la relazione tra paura e controllo.
S.P. Credo proprio di sì o per lo meno me lo auguro. Fin dall’inizio abbiamo cercato di evitare l’“effetto almanacco” mossi non dall’esigenza di stilare una guida completa allo zombie – opere di questa natura non mancano e sono per altro esaustive – né un saggio sulla esalogia zombie di Romero, ma di percorrere tre itinerari - tra i tanti possibili – nell’immaginario, tuttora mobile e in costruzione – dei morti viventi. Nel nostro viaggio sono molti gli aspetti, non certo minori, che sono rimasti fuori. Penso al rapporto tra erotismo e zombie, alla capacità dell’apocalisse undead di esacerbare gli scontri generazionali e tra i sessi, alla relazione tra morto vivente e cinematografie nazionali (vedi la gloriosa produzione italiana di qualche decennio fa o quella giapponese di oggi), ma soprattutto alla presenza zombie nell’arte contemporanea, nelle graphic novel e nei videogiochi, che hanno non poco influenzato la produzione cinematografica degli ultimi anni e alimentano senza sosta la mutazione del genere.
G.S. Sarò ingenuo, ma a me è piaciuto anche “Survival of the dead”, l’ultimo della saga zombie. Ci ho visto sfumature e sviluppi narrativi che sono importanti per capire la metafora. Nel libro ne parlo.
D.A. In teoria sfuggirebbe perché lo Zombie è meno carino del vampirello adolescente e meno addomesticabile. In pratica – ne parlo nel prologo "Perché una nuova alba" (scarica qui - Nd.Edu) – il marketing farà di tutto per arrivare a una saturazione. Ma lo Zombie, per sua natura fisiologica, è inserito nello schema “corsi e ricorsi”. Dopo la saturazione, nessuno per un po' vorrà sentirne parlare, ma lui tornerà. E' quasi matematica certezza.
G.S. Ovviamente lo zombie entra a tutti gli effetti nel tritacarne del mercato. Sta qui la sua incompiutezza. È per questo che avanza ciondolando, non parla e non sviluppa pensieri compiuti. Se riuscisse davvero a sottrarsi alla logica del profitto, non sarebbe un morto vivente!
D.A. Perché, a parte alcuni casi da salotto TV, la saggistica non tira. Figurati questa specifica che si rivolge a un target molto ristretto. Non facile da individuare perché fra gli “horroristi” italici che comperano narrativa esiste una buona fetta che non si compra nulla di saggistica, il che è a dir poco bizzarro. Stesso fenomeno per i cultori di critica cinematografica. Parecchi di costoro, coltivando materiali “alti”, disprezzano la manualistica che tratta di generi pop come l'horror
& affini... Il che è ancora più bizzarro. Sul fronte dei consumi editoriali, siamo uno strano paese, videoguidato e in grado di creare fenomeni del nulla in mezzo al
nulla.
G.S. La saggistica dei paesi anglofoni è meno ingessata, sia nella forma espressiva che nei contenuti. Hanno meno paura di sporcarsi le mani con la contemporaneità. Da noi invece l’accademia è ancora molto autoreferenziale.
S.P Il contagio è una condizione permanente, in cui siamo già immersi fino al collo. Non ho gli strumenti per prevedere quale sarà la pandemia che ci porterà davvero vicini al punto di non ritorno, ma posso giurare che ci arriveremo preparati da una infinita serie di prove generali per la fine del mondo.
Parliamo di cinema. Un vostro giudizio sincero e spassionato sull’ultima produzione di Romero. E’ ancora lo specchio della nostra società oppure un semplice esercizio di stile?
D.A. Non lo nascondo nel libro. Survival è un film stanco, logoro, con uno script che si avvita su sé stesso. Qualche idea condivisibile qua e là ma, anche sotto il profilo dello stile, un po' l'opera delude. Però forse è proprio per questo che, a dispetto persino dello stesso Romero, il film riesce ancora a essere uno specchio dell'attuale momento sociale. Viviamo in tempi di mostruosa mediocrità...Appunto, Survival...
D.A. Non lo nascondo nel libro. Survival è un film stanco, logoro, con uno script che si avvita su sé stesso. Qualche idea condivisibile qua e là ma, anche sotto il profilo dello stile, un po' l'opera delude. Però forse è proprio per questo che, a dispetto persino dello stesso Romero, il film riesce ancora a essere uno specchio dell'attuale momento sociale. Viviamo in tempi di mostruosa mediocrità...Appunto, Survival...
G.S. Sarò ingenuo, ma a me è piaciuto anche “Survival of the dead”, l’ultimo della saga zombie. Ci ho visto sfumature e sviluppi narrativi che sono importanti per capire la metafora. Nel libro ne parlo.
S.P. Credo che sia "Diary of the Dead" - che da un lato riporta l’apocalisse nel mondo, per strada, in viaggio, e dall’altra la rende comprensibile solo attraverso il filtro di una miriade di schermi, scandagliando non superficialmente il ruolo di media nella costruzione del nostro agire sulla realtà - sia "Survival of the Dead", che gioca nello scacchiere della dicotomia tra natura umana e zombie una partita sul senso dell’identità, vadano ben oltre l’esercizio di stile.
La figura letteraria e cinematografica dello Zombie si sta avviando, come il Vampiro, a una certa saturazione di mercato o sfugge, secondo voi, da ogni logica consumistica?
La figura letteraria e cinematografica dello Zombie si sta avviando, come il Vampiro, a una certa saturazione di mercato o sfugge, secondo voi, da ogni logica consumistica?
D.A. In teoria sfuggirebbe perché lo Zombie è meno carino del vampirello adolescente e meno addomesticabile. In pratica – ne parlo nel prologo "Perché una nuova alba" (scarica qui - Nd.Edu) – il marketing farà di tutto per arrivare a una saturazione. Ma lo Zombie, per sua natura fisiologica, è inserito nello schema “corsi e ricorsi”. Dopo la saturazione, nessuno per un po' vorrà sentirne parlare, ma lui tornerà. E' quasi matematica certezza.
G.S. Ovviamente lo zombie entra a tutti gli effetti nel tritacarne del mercato. Sta qui la sua incompiutezza. È per questo che avanza ciondolando, non parla e non sviluppa pensieri compiuti. Se riuscisse davvero a sottrarsi alla logica del profitto, non sarebbe un morto vivente!
S.P Lo zombie per sua natura non può fare a meno di diffondersi senza sosta, arrivare ovunque, divorare tutto quello che si trova davanti finché non ne rimane più nulla. Queste caratteristiche lo rendono un meme tanto più resistente quanto più parossistica è la sua dissipazione e irreversibile la cannibalizzazione delle sue vittime. Sotto le sue fauci il romanzo vittoriano, la sit com, la narrativa fantasy e quella rosa, la fiction per ragazzi, il romanzo storico, la musica pop, la pubblicità, il saggio sociopolitico (etc, etc…) soccombono, ma ovviamente gli zombie tornano a vivere, in forme più resistenti, più aggressive, più innovative che veicolano nuove tipologie – anche loro più infestanti e voraci – di non vita. In quest’ottica la saturazione non è poi la fine del mondo, anzi. Dopotutto in ogni narrazione zombie è proprio quando quest’ultimi avvolgono ogni angolo e l’umanità sembra arrivata a un punto morto che la storia si fa interessante.
Perché in Italia, a differenza dei paesi anglofoni, c’è poca saggistica sull'argomento? Eppure in un certo senso il tema ci appartiene se guardiamo al passato…
D.A. Perché, a parte alcuni casi da salotto TV, la saggistica non tira. Figurati questa specifica che si rivolge a un target molto ristretto. Non facile da individuare perché fra gli “horroristi” italici che comperano narrativa esiste una buona fetta che non si compra nulla di saggistica, il che è a dir poco bizzarro. Stesso fenomeno per i cultori di critica cinematografica. Parecchi di costoro, coltivando materiali “alti”, disprezzano la manualistica che tratta di generi pop come l'horror
& affini... Il che è ancora più bizzarro. Sul fronte dei consumi editoriali, siamo uno strano paese, videoguidato e in grado di creare fenomeni del nulla in mezzo al
nulla.
G.S. La saggistica dei paesi anglofoni è meno ingessata, sia nella forma espressiva che nei contenuti. Hanno meno paura di sporcarsi le mani con la contemporaneità. Da noi invece l’accademia è ancora molto autoreferenziale.
S.P Nei paesi anglosassoni è accettato che un’icona cinematografica come lo zombie abiti a tal punto la realtà da divenire l’oggetto e il soggetto della riflessione scientifica, epidemiologica, sociologica, filosofica. Quando questo salto concettuale diverrà prassi qui da noi la saggistica critica scoprirà nuovi modi di parlare di mostri che ritornano dalla tomba.
Ho definito il vostro saggio come un “pamphlet” per i temi coraggiosi che avete affrontato. Siete d’accordo con questa definizione o reclamate un’identità letteraria differente?
D.A Ognuno mi può definire come crede. Io non mi definisco mai. Poi qui siamo in tre... Hai voglia. Grazie comunque per la tua definizione che apprezzo.
G.S. Capisco in che senso hai usato quel termine, volevi farci un complimento cogliendo l’urgenza di aggredire problemi che sono sotto i nostri occhi. Ma il pamphlet ha anche dei “nemici” immediati, è costruito per alimentare una campagna politica e sociale, per essere usato direttamente nella battaglia. Nel caso del nostro libro non è proprio così.
S.P Se l’urgenza con cui ci siamo sentiti “chiamati” a dover rendere conto dell’invasione zombie, la passione con cui ci siamo dedicati al tema e – parlo per me – persino lo stile, a tratti, barricadiero, possono a buon diritto far rientrare i nostri scritti nel genere credo che manchi loro un requisito fondamentale per un pamphlet che si rispetti: non abbiamo mai pensato di dover schiudere gli occhi del mondo su di una verità tanto colossale quanto incompresa. La nostra è una guida per orizzontarsi ai tempi di un’apocalisse che non ha bisogno di Cassandre, ma è già qui, scritta da una pattuglia in avanscoperta, mortalmente curiosa più che coraggiosa, che si trova già in buona – e numerosa - compagnia.
Ho definito il vostro saggio come un “pamphlet” per i temi coraggiosi che avete affrontato. Siete d’accordo con questa definizione o reclamate un’identità letteraria differente?
D.A Ognuno mi può definire come crede. Io non mi definisco mai. Poi qui siamo in tre... Hai voglia. Grazie comunque per la tua definizione che apprezzo.
G.S. Capisco in che senso hai usato quel termine, volevi farci un complimento cogliendo l’urgenza di aggredire problemi che sono sotto i nostri occhi. Ma il pamphlet ha anche dei “nemici” immediati, è costruito per alimentare una campagna politica e sociale, per essere usato direttamente nella battaglia. Nel caso del nostro libro non è proprio così.
S.P Se l’urgenza con cui ci siamo sentiti “chiamati” a dover rendere conto dell’invasione zombie, la passione con cui ci siamo dedicati al tema e – parlo per me – persino lo stile, a tratti, barricadiero, possono a buon diritto far rientrare i nostri scritti nel genere credo che manchi loro un requisito fondamentale per un pamphlet che si rispetti: non abbiamo mai pensato di dover schiudere gli occhi del mondo su di una verità tanto colossale quanto incompresa. La nostra è una guida per orizzontarsi ai tempi di un’apocalisse che non ha bisogno di Cassandre, ma è già qui, scritta da una pattuglia in avanscoperta, mortalmente curiosa più che coraggiosa, che si trova già in buona – e numerosa - compagnia.
Un avvenimento di attualità recente che può essere accostato in maniera chiara e diretta al fenomeno degli Zombie. In un futuro prossimo ci sarà la minaccia di un contagio di massa oppure siamo ancora nel campo della fiction?
D.A. I contagi di massa sono possibili. La fiction, prima di ogni altra disciplina, lo ha credo dimostrato. Sono in grado di citare un autore che conosco bene, Danilo Arona... Due anni fa così parlò un suo personaggio, Sarah Moore, la Predatrice: «Batteri, virus... Il loro DNA può essere modificato. Il che tramuta i microbi in armi biologiche letali per l’uomo, trappole genetiche non presenti in natura. Che so... un microrganismo sviluppa una virulenza impensabile. Oppure manifesta una resistenza agli antibiotici da far tremare i polsi agli infettivologi. Sono eventualità che i governanti non possono più ignorare. Perché tutto ciò è già possibile con le odierne biotecnologie, in grado di manipolare geni e cellule. Pensate... si modifica il genoma di un virus, che diventa capace di annientare il genere umano, ma nel frattempo ci si premura di costruire con le tecniche del DNA ricombinante il relativo vaccino. Così i Buoni muoiono sotto i colpi dell’Apocalisse virale e i Cattivi avanzano con gli anticorpi nel sangue. Pensate alla possibilità d’inserire nelle cellule un meccanismo genetico a tempo, capace di attivare qualche catastrofe biologica solo in certe condizioni e su determinati bersagli: gli occhi, le ghiandole sessuali, il sangue... Quante minoranze etniche potrebbero venire rese sterili con qualche falso programma vaccinale. Potreste anche pensare di direzionare queste armi non contro la popolazione, ma magari sull'ambiente e sulle risorse alimentari. Paesi interi verrebbero messi in ginocchio se il loro settore primario venisse minato così. Lo sapete che il Sudafrica già negli anni Ottanta, ai tempi dell’apartheid, aveva lavorato a un virus in grado di colpire solo la popolazione di colore, lasciando indenne quella bianca? E che da qualche anno, secondo fonti di intelligence americana. Israele starebbe lavorando a un’arma simile, capace di colpire gli arabi ma non gli ebrei? C’è poco da fare: è finita l’era del piombo. I proiettili del futuro si chiamano proteine, basi azotate. Selettive, maneggevoli, economiche. Perfette. I microbi intelligenti renderanno le armi nucleari ordigni ordigni obsoleti»... Questo lungo monologo non viene né da Sarah Moore né da me. Non è fiction. Questa è la verità dei fatti che tutti i governi del mondo ben conoscono. E' un nuovo equilibrio del terrore non più basato sulla reciproca paura nucleare, ma sulla reciproca paura del terrorismo biogenetico. Per i fan, Sarah Moore è una vampira presente nel racconto Finis Terrae 2 – Predatrix e l'antologia che lo contiene chiamasi "Fratelli di razza", a cura di Nicola Roserba. Un po' di automarketing di cui ti ringrazio, Edu.
G.S. Mike Davis, saggista che stimo molto, negli anni scorsi si è sbilanciato fino a teorizzare il contagio globale dell’aviaria. Per fortuna non è accaduto. Ma la relazione tra “immunità” e “comunità”, tra la necessità di “essere al sicuro” e l’istinto primario e vitale a mescolarsi, è alla base della nostra società.
D.A. I contagi di massa sono possibili. La fiction, prima di ogni altra disciplina, lo ha credo dimostrato. Sono in grado di citare un autore che conosco bene, Danilo Arona... Due anni fa così parlò un suo personaggio, Sarah Moore, la Predatrice: «Batteri, virus... Il loro DNA può essere modificato. Il che tramuta i microbi in armi biologiche letali per l’uomo, trappole genetiche non presenti in natura. Che so... un microrganismo sviluppa una virulenza impensabile. Oppure manifesta una resistenza agli antibiotici da far tremare i polsi agli infettivologi. Sono eventualità che i governanti non possono più ignorare. Perché tutto ciò è già possibile con le odierne biotecnologie, in grado di manipolare geni e cellule. Pensate... si modifica il genoma di un virus, che diventa capace di annientare il genere umano, ma nel frattempo ci si premura di costruire con le tecniche del DNA ricombinante il relativo vaccino. Così i Buoni muoiono sotto i colpi dell’Apocalisse virale e i Cattivi avanzano con gli anticorpi nel sangue. Pensate alla possibilità d’inserire nelle cellule un meccanismo genetico a tempo, capace di attivare qualche catastrofe biologica solo in certe condizioni e su determinati bersagli: gli occhi, le ghiandole sessuali, il sangue... Quante minoranze etniche potrebbero venire rese sterili con qualche falso programma vaccinale. Potreste anche pensare di direzionare queste armi non contro la popolazione, ma magari sull'ambiente e sulle risorse alimentari. Paesi interi verrebbero messi in ginocchio se il loro settore primario venisse minato così. Lo sapete che il Sudafrica già negli anni Ottanta, ai tempi dell’apartheid, aveva lavorato a un virus in grado di colpire solo la popolazione di colore, lasciando indenne quella bianca? E che da qualche anno, secondo fonti di intelligence americana. Israele starebbe lavorando a un’arma simile, capace di colpire gli arabi ma non gli ebrei? C’è poco da fare: è finita l’era del piombo. I proiettili del futuro si chiamano proteine, basi azotate. Selettive, maneggevoli, economiche. Perfette. I microbi intelligenti renderanno le armi nucleari ordigni ordigni obsoleti»... Questo lungo monologo non viene né da Sarah Moore né da me. Non è fiction. Questa è la verità dei fatti che tutti i governi del mondo ben conoscono. E' un nuovo equilibrio del terrore non più basato sulla reciproca paura nucleare, ma sulla reciproca paura del terrorismo biogenetico. Per i fan, Sarah Moore è una vampira presente nel racconto Finis Terrae 2 – Predatrix e l'antologia che lo contiene chiamasi "Fratelli di razza", a cura di Nicola Roserba. Un po' di automarketing di cui ti ringrazio, Edu.
G.S. Mike Davis, saggista che stimo molto, negli anni scorsi si è sbilanciato fino a teorizzare il contagio globale dell’aviaria. Per fortuna non è accaduto. Ma la relazione tra “immunità” e “comunità”, tra la necessità di “essere al sicuro” e l’istinto primario e vitale a mescolarsi, è alla base della nostra società.
S.P Il contagio è una condizione permanente, in cui siamo già immersi fino al collo. Non ho gli strumenti per prevedere quale sarà la pandemia che ci porterà davvero vicini al punto di non ritorno, ma posso giurare che ci arriveremo preparati da una infinita serie di prove generali per la fine del mondo.
I vostri impegni futuri in campo editoriale. Ci sarà ancora spazio per gli Zombie?
D.A. Sì. Ma il progetto al momento è top secret. Posso solo sbilanciarmi nel dire che si tratta di narrativa. Chi vivrà vedrà... Non lo dico a caso, l'uscita di questo lavoro è prevista per la fine del 2012...
D.A. Sì. Ma il progetto al momento è top secret. Posso solo sbilanciarmi nel dire che si tratta di narrativa. Chi vivrà vedrà... Non lo dico a caso, l'uscita di questo lavoro è prevista per la fine del 2012...
G.S. Nell’immediato, a scanso di sorprese, non penso proprio.
S.P Mi occupo di cinema e di fiction seriale, non potrei evitare gli zombie nemmeno se volessi.
8 commenti:
Intervista interessante,soprattutto la parte seìulle reali possibilità di una pandemia globale.Diavolo di un Arona,che con il suo progetto top-secret mi ha incuriosito a morte.(Aspettare fino alla fine del 2012,sigh)Non nego però che sarebbe stato interessante vedere una parte sui fumetti e l'arte zombesca.
P.S.Ho aperto un blog "The Tralfamadore Connection" a questo indirizzo:http://morettafra.altervista.org/
Grazie Fra.
Danilo come sempre mi regala in anteprima qualche novità e non posso che ringraziarlo pubblicamente per l'amicizia e la stima.
Passo subito a leggere il tuo post e commentare.
Intanto grazie come sempre per il commento. ^__^
Ottima intervista incrociata.
Ottime domande, da sempre la figura dello zombie mi affascina molto non a caso ho partecipato al S.B.
P.s nel mio blog quando ho pubblicato un racconto inedito S.B una delle storie non raccontate ho citato il personaggio EDU.
ciao Eduardo, complimenti per questa intervista :-) ho aggiunto qualche tempo fa il tuo libro "horror rock" alla mia wishlist, e poi sono capitata qua per caso cercando informazioni sull'Alba degli Zombie... e dopo un po' ho capito che eri quello di Horror Rock :-D
Ti seguo, sia qua che su anobii, a presto e buon weekend
@Nick
Grazie mille per i complimenti.
Azz!!!
Non ho ancora letto il tuo pezzo sul Survival Blog.
Corro a leggere e commentare subito.
@Clau
Ciao!
Grazie di cuore per i complimenti e per l'attenzione.
Spero che un giorno tu possa leggere il mio Horror Rock e farmi avere il tuo parere.
Intanto inizio a seguire il tuo blog e lo inserisco tra i miei preferiti.
Teniamoci in contatto tramite blog e Anobii
Buona domenica a presto
Edu
Ke onore averti tra i miei followers! Grazie infinite, è davvero un piacere e un grande onore! Complimenti per ii tuoi post sempre interessanti!
Ciao!!!
Ma figurati.
Ho visto che ti occupi di fantasmi e misteri in genere e non potevo assolutamente perdermi il tuo interessantissimo blog.
Verrò spesso a leggere e commentare.
Grazie mille.
A presto.
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