Secondo la tradizione classica, il Meriggio (Mezzogiorno) è l’unico momento della giornata in cui il tempo sembra fermarsi in una stasi inquietante e possono accadere strani avvenimenti legati alla demonologia e addirittura al vampirismo.
Secondo il sito di
Sabbatica.org “la luce divorante del meriggio è il luogo elettivo di demoni, phantasmata, incubi e succubi: entità che, prima di essere confinate nelle tenebre e nella notte dal cristianesimo, non conoscevano distinzioni morali tra luce e oscurità. Specialmente per la civiltà greca, quello del meriggio è un istante critico in cui il tempo e la natura paiono fermarsi in una stasi inquietante, mentre gli effetti dell’astro smettono di essere benefici e fecondatori e si fanno opprimenti e disseccanti. Insolazioni, miasmi e allucinazioni di una terra colpita da un calore ustionante forniscono l’humus di mitologie e letterature che esorcizzano il calore, la solitudine, gli effetti distruttivi della natura su un popolo di pastori e marinai.”
Qui al Sud Italia le ore successive al Mezzogiorno, possono essere comparate alla mezzanotte di un qualsiasi paese o cittadina comune: chiudono i negozi e la gente si ritira in casa per mangiare. Molti, moltissimi, cercano anche di ristorarsi con qualche ora di sonno prima di iniziare nuovamente le attività diurne.
Le strade si svuotano e uno strano silenzio cala sulle case, come se all’improvviso la vita si arrestasse d’incanto, preda di un sortilegio che come abbiamo letto precedentemente ha qualcosa di mitologico e se ci pensiamo bene di orrorifico.
Tutto questo preambolo per raccontarvi un piccolo mistero che mi è accaduto personalmente, in questi giorni di calura estiva e che, come gli antichi greci dicevano secoli prima, seppur verificatosi sotto un sole ardente, ha tutta la forza visionaria e ombrosa di un qualsiasi evento notturno.
Sono da poco passate le 14:00 p.m. e sto guidando a velocità normale su una strada solitaria che collega il mio paese, Sarno, agli altri centri del salernitano. Intorno a me, chilometri e chilometri di campagna coltivata e nessun’anima viva.
Come mio solito ascolto musica rock a tutto volume, riflettendo sugli impegni pomeridiani e serali.
D’un tratto un lungo nastro nero appare sulla carreggiata. È lunghissimo e sembra quasi trasportato dal vento. Lo osservo senza preoccupazioni. Normalissimo trovare sulle strade di periferia spazzatura varia e molto spesso (ahinoi!) carcasse di animali investiti.
Decido di non rallentare. Del resto che cosa può farmi un nastro o una corda adagiata sull’asfalto?
Sono a pochi metri dal quell’inoffensivo imprevisto quando il cuore mi sobbalza in gola come se avesse vita propria e desiderasse abbandonare il mio corpo.
Conosco quel movimento! Non è il vento (del resto la giornata è torrida e insopportabile) a far muovere l’oggetto ma un incedere sinuoso e orribile ai miei occhi: quello di un serpente!
Mentre sto per investirlo valuto la sua lunghezza e mi si ghiaccia il sangue nelle vene. Sarà almeno un metro e mezzo. Ed è nero come la notte. Rallento ma è troppo tardi. Lo investo in pieno!
Fermo immediatamente l’auto a lato della strada ma non oso aprire lo sportello. Sono terrorizzato!
Sporgo lentamente la testa dal finestrino e il demone del meriggio è mirabilmente ancora vivo e in movimento sulla carreggiata.
Intanto si avvicina veloce un’altra vettura. Stavolta la bestia non ha intenzione di farsi sopraffare.
Con uno scatto che mi fa sobbalzare nell’abitacolo, cerca di mordere lo sportello dell’auto in corsa. La macchina è troppo veloce e l’aggressione fallisce miseramente.
Come a comprendere la lotta impari tra natura e tecnologia umana, il lungo essere pomeridiano va a nascondersi in un cespuglio vicino.
Mi rassicuro che è tutto finito. Che è stata solo una piccola avventura da raccontare agli amici.
Riaccendo il motore ma qualcosa mi blocca nuovamente.
Dal lato opposto della strada si avvicinano lentamente alcune ombre: sono ciclisti.
Immagino il serpente acquattato nell’erba che con uno scatto febbrile azzanna la gamba di uno di loro, tra urla di orrore e ho un brivido freddo.
Abbandono l’auto ancora accesa e come se fosse giunta l’apocalisse mi fiondo di corsa verso i ciclisti con le mani al cielo.
Gli uomini, sorpresi e attoniti, arrestano subito la loro corsa. Si tratta di un vecchio contadino e a poca distanza un paio di marocchini.
Mi guardano perplessi: pensano che ho bisogno di aiuto, forse di benzina o di un meccanico.
Sudato e eccitato spiego quello che ho visto.
Uno dei marocchini ride divertito. Forse dalle sue parti rettili neri lunghi oltre un metro sono la normalità ma diavolo! per me non lo sono.
Il vecchio agricoltore ascolta invece serio e attento il mio racconto. Ha delle rughe così profonde sul volto abbronzato che sembra uno sciamano indiano.
Consiglio vivamente agli uomini di chiamare aiuto perché quell’animale è davvero pericoloso e potrebbe attaccare qualcuno.
I marocchini spazientiti e tutto sommato increduli (o indifferenti a seconda dei casi) mi lasciano alle mie congetture e dopo aver attraversato incolumi il tratto di strada incriminato si allontanano verso Sarno.
Rimane solo il vecchio, che con sguardo penetrante, osserva le mie mosse.
Provo vergogna e sgomento per quello che è successo. Forse mi sono lasciato prendere troppo dalla visione dell’animale.
Sto per salutare e andarmene quando lo sciamano finalmente si decide a parlare. Il suono della sua voce è acuto e sgraziato e non so perché, mi ricorda nuovamente il serpente.
Con tono austero, racconta che ne ha visti tanti nella sua vita, anche di più grossi, e spesso si aggirano a quell’ora attratti dalla luce e dal calore del sole.
Gli chiedo se è stato mai attaccato e con disarmante semplicità risponde che è stato morso da giovane finendo all’ospedale. Da allora porta sempre degli stivali da lavoro, alti fino al ginocchio, anche in estate.
Immagino la vita del contadino, a stretto contatto col pericolo dei serpenti e provo un senso di irrealtà.
Lo saluto confuso, porgendogli la mano e in cambio ricevo una stretta callosa e un sorriso sdentato che mi ricorda nuovamente la bocca di un serpente.
Salgo veloce in auto, non prima di aver osservato il cespuglio e il mistero che si cela dietro i suoi rovi.
Per giorni la visione del serpente e del vecchio infesteranno i miei ricordi assumendo un alone onirico e quasi mitologico.
Il mito di una terra bruciata dal sole che nell’ora più calda e luminosa si ferma come per incanto, lasciando il posto a esseri mostruosi come il serpente (po)meridiano.